Ho voluto diventare un fotografo per essere un fotografo di guerra. Ma ero guidato dalla convinzione che una fotografia che riveli il volto vero della guerra sia quasi per definizione una poesia contro la guerra. (James Nachtwey)
[…] dovremmo smettere di definirlo un “fotografo di guerra”. Bisogna vedere in lui un uomo di pace, uno che per desiderio di pace va in guerra e si espone... per creare la pace, partendo da un odio sconfinato per la guerra e un amore sconfinato per gli esseri umani. (Wim Wenders, Laudatio per J. Nachtwey, Dresda, 2012)
Le cicatrici gli deturpano il volto e il capo; la più lunga parte dall'angolo delle labbra e, attraversandogli la parte inferiore della guancia destra, pare tracciargli un grottesco deforme alterato alieno sorriso. L'uomo rappresentato nell'immagine è un tutsi ruandese ed è stato scelto come dolorosa icona della mostra fotografica Memoria di James Nacthwey.
Un titolo emblematico e paradigmatico per un'esposizione che è un autentico pugno nello stomaco e nella coscienza (individuale e sociale), un campionario di quello che l'umanità sa, in negativo, essere. È peraltro singolare come Nachtwey abbia saputo coniugare valori estetici e denuncia sociale, superba abilità tecnica e capacità di documentare: sensibilità artistica ed empatia umana assolutamente congiunte.
Non vi è luogo che Nacthwey non abbia esplorato con il proprio obiettivo fra le zone calde del pianeta o quelle proibite o, semplicemente, infernali... Dalla Palestina ai Balcani, dalla Cecenia al Darfur, dagli agghiaccianti orfanotrofi della Romania di Ceausescu – veri lager per l'infanzia – al Sudafrica dell'Apartheid, dalle Torri Gemelle all'Afghanistan, dall'Iraq al selvaggio inquinamento da carbone nei Paesi dell'ex blocco sovietico. E, ancora, l'Indonesia, i terremoti di Haiti e del Nepal, l'Agente Arancio, fra i cui ingredienti è la micidiale diossina, sparso a piene mani dall'esercito americano durante la Guerra del Vietnam e causa di terribili malformazioni e anomalie genetiche, una condanna per tanti del passato e ancora troppi delle generazioni a venire.
Non fa sconti né si presta a compromessi o silenzi complici e colpevoli l'occhio fotografico di James Nachtwey, non omissioni né edulcoramenti nella sua instancabile e intelligente opera. Memoria vuol dire verità. E se la verità è scomoda va in ogni caso raccontata: il triste e tristo stato delle prigioni americane, i malati di tubercolosi e di AIDS, i profughi, gli sfollati, i bambini uccisi dalla stupida interessata ottusità delle guerre, i fili spinati, le fosse comuni...
“La sagoma di un uomo che è stato ucciso e la cui casa è stata poi incendiata, lasciando questa impronta indelebile tra le ceneri. Un'immagine che ricorda le pitture rupestri...” (Kosovo). Come i corpi pietrificati dalla lava di Pompei o le ombre dei nostri simili cancellati dall'atomica di Hiroshima. Lo scheletrico involucro di pelle di un uomo sudanese che prova a trascinarsi, come un animale a quattro zampe, verso il cibo. Ma anche un padre con il braccio il figlio (mentre tenta di attraversare un confine) o la solidarietà nei confronti di chi conclude (si spera), sbarcando da una carretta del mare, la propria odissea. Ci sarà mai un esodo felice?
Memoria è una magnifica “istruttiva” mostra e Nachtwey si merita la fama di uno dei grandi del nostro tempo. A lui e al suo lavoro dovrebbero guardare gli insani politici che opprimono e sgovernano il nostro bellissimo e miserabile pianeta.
Scrive il curatore Robert Koch in merito all'arte fotografica e all'impegno civile di Nachtwey: “Il fotografo si offre al dolore, lo accoglie, lo trasforma con forza e con grazia, e noi rimaniamo senza parole, sconvolti ma fermi davanti a quelle atrocità e a quel miracolo di luci, a quella perfezione compositiva che sutura le ferite, accarezza, consola e irrimediabilmente porta dentro, anche noi, tra la perduta gente. […] Lo sguardo della compassione è lo sguardo della conoscenza, della consapevolezza, della memoria: l’unico possibile antidoto contro quel grumo oscuro, quel cuore di tenebra che si rivela con tutto l’orrore di cui l’uomo è capace. Noi guardiamo le fotografie di Nachtwey e sappiamo. Ora possiamo ricordare”.
Alberto Figliolia
Memoria. James Nachtwey. Palazzo Reale, Piazza Duomo 12, Milano. Fino al 4 marzo 2018. Una mostra Comune di Milano-Cultura, Palazzo Reale, Civita-Contrasto-GAmm Giunti.
Orari: lun 14:30-19:30; mar, mer, ven e dom 9:30-19:30; gio e sab 9:30-22:30.
Info: tel. + 39 199151121; sito Internet www.palazzorealemilano.it; e-mail mostre@civita.it.
Catalogo Contrasto Giunti.