Prima di morire, Patrizia Garofalo (1949-2017) è riuscita a terminare la sua più bella raccolta di poesie: in anestesia di cuore. A questa opera Tellus dedica le pagine di apertura del n. 34-38 (2017) del proprio Annuario.
in anestesia di cuore è l’ultimo dono che ci lascia Garofalo. Questo lavoro – vero e proprio manifesto di poetica – ci rivela il mondo che ci attornia non è a noi preesistente, non appare prima della parola, come superficialmente si pensa. Dove non c’è la parola non c’è alcuna cosa. Dove non c’è parola nessuna cosa può essere pensata. Solo nella parola – unicamente all’interno del linguaggio – le cose si fanno presenti. La parola, registra Garofalo è «primavera di fioriture / inverno di coperta nevosa e calda». Senza la parola, chiarisce Garofalo, il mondo non è, non fiorisce, non si manifesta. Senza l’incanto della parola, precisa ancora Garofalo, non è possibile custodire le cose, preservarle dalla corruzione, dalla scomparsa. Quella «coperta nevosa e calda» è lo scrigno che preserva ciò che ci attornia dall’usura.
In questa opera, la parola non è mai strumento, non si ritira di fronte alla cosa che nomina, ma resta unica e insostituibile. Quale custodia di un senso racchiuso in un intreccio di senso e suono, si colloca ai margini del dicibile e del significabile.
Nella sua intensa, appassionata prefazione, Silvia Comoglio riconosce che in questa opera «la parole vengono prima della luce e che parimenti le parole sono più ampie dello spazio e del tempo». Sono parole pronunciate da labbra che sanno di essere uno stadio umano provvisorio, precursore di un profilo ancora in via di formazione, una frase transitoria dell’individualità.
S’intrecciano il linguaggio delle parole e il linguaggio del silenzio, e insieme danno vita a una poesia che riconosce il dicibile e l’indicibile nelle cose che si ergono davanti a noi. Una poesia aperta all’accoglienza e alla speranza.
Garofalo ci ricorda che grande e bruciante è la nostra responsabilità di esseri linguistici. Quando il silenzio «a lungo trattenuto» diventa parola, quella parola può affascinarci con i suoi colori, con le sue risonanze emozionali, ma può anche ferirci, richiamando intorno a noi angosce e fragilità.
Le vie di accesso alla «circostanza della luce» sono impervie e richiedono l’installarsi di una voce della realtà delle cose se lo scopo è quello di «amarci ancora», se il fine è quello di creare «un mondo rovesciato». Ed è proprio a un mondo rovesciato che Garofalo pensa. Lo si capisce ogni qual volta che nella sua poesia una parola s’immobilizza, si cristallizza, arrestando l’incedere del verso; magari deraglia dall’impiego consueto, acquista un rilievo speciale, produce una sorta di eco. O tace.
Siamo colpiti allora – all’improvviso – da una parola familiare che si sdoppia «e veste il dire / tacendo».
Leggendo queste poesie ci si accorge di essere al cospetto delle infinite potenzialità della lingua, una lingua che non costituisce la rappresentazione della realtà, ma è essa stessa realtà.
Questo per dire che la poesia di Garofalo non è il soliloquio di una voce solitaria, chiusa nell’intimo sentimento di un’emozione, persa nella ricerca di un timbro, di un colore. in anestesia di cuore si rivolge a un “tu”, chiamato a rispondere in prima persona all’appello che viene dal testo; un “tu”, invitato a portare a destinazione il messaggio di verità che la poesia racchiude, arrivando a dire “io”.
Lontana da ogni intimismo, questa poesia si affida a una pratica di scrittura come esigenza di dialogo: va intesa come un interrogare radicale che si rivolge a noi e cerca di rompere l’isolamento dell’“io” nell’incontro con l’Altro.
Flavio Ermini
Patrizia Garofalo, in anestesia di cuore
In Tellus 34-38. L’Almanaccone impertinente
Labos, 2017, pp. 220, € 17,50
(€ 15,00 in abbonamento, spese recapito incluse)