Si nutre, a ragione, diffidenza, biasimo, per i cosiddetti “fumettoni”, intendendo con questo termine, ormai un po' desueto, intrighi complicati, magari farraginosi; ma soprattutto carichi di sentimenti forti, esasperati: di passioni amorose incandescenti e di odi mortali.
Biasimo e diffidenza, perché questo genere di racconti, al cinema ma non solo, non rispettano le proporzioni umane dei sentimenti, che a volte certo anche nella vita possono esasperarsi, ma non con la facilità, con la frequenza, con la concentrazione con cui si ritrovano surriscaldati appunto nei “fumettoni”.
Ora: si può dire che Woody Allen, nel suo ultimo film – il cui titolo italiano è: La ruota delle meraviglie – sia incorso in questo peccato di falsità, che abbia appunto realizzato un “fumettone”?
Io, voglio subito premetterlo, non lo penso affatto. Credo anzi che La ruota delle meraviglie sia uno dei suoi film più belli.
Eppure i sintomi della falsità ci sono tutti. A partire dall'ambientazione: la Coney Island, la spiaggia newyorkese, degli anni Cinquanta, che nei costumi, nei locali, nelle attrazioni da Luna Park che la popolano, sarà stata presumibilmente ricostruita in base ai documenti, all'iconografia dell'epoca, ma che proprio per questo sa tanto di ricostruzione artificiale.
E poi ci sono le luci, le luci prestigiose, molto belle, di Vittorio Storaro, cariche di riflessi dorati, o azzurrini, o rossastri, a seconda delle esigenze del racconto; sempre dunque manifestamente irreali (ma che a volte, all'improvviso, diventano naturalistiche, danno luogo cioè all'impressione un po' squallida della realtà).
E poi c'è l'intreccio, che è tutto un susseguirsi, un intersecarsi di passioni d'amore che travolgono chi le prova; e che, deluse, si trasformano in rabbia, in odio, o in rivalità acerrime, disposte perfino all'omicidio.
C'è insomma nel film il trovarobato romanzesco degli infimi melodrammi.
Eppure se esaminiamo con attenzione i sentimenti che costituiscono la materia del racconto – con la stessa attenzione che dedica loro uno dei personaggi, un ragazzo che d'estate si adatta a lavorare come bagnino, ma che sogna di diventare uno scrittore per il teatro; che, come lo stesso Woody Allen, è appassionato del teatro di O'Neill e della tragedia greca; che è partecipe del dramma, ma che allo stesso tempo, da artista, lo osserva come dall'alto con distacco contemplativo – ci accorgeremo allora che quegli amori, per esempio, non sono tutti di uno stesso colore, sono sottilmente differenziati a seconda del diverso carattere, della diversa storia di ognuno dei personaggi: l'amore di un uomo, ingrassato, abbruttito dall'alcool e dal lavoro, per una moglie ancora bella, tanto più fine di lui, si colora dell'umiltà al cospetto della persona amata.
L'amore di quella moglie, per un ragazzo attraente, più giovane di lei – lei che per un errore ha già perso l'amore della sua vita – si colora di ansia e di angoscia. L'amore di una ragazza, reduce da una delusione sentimentale, per quello stesso giovane, si colora di una speranza flebile, incerta di sé.
Insomma: oltre una certa esasperazione melodrammatica e la falsità della cornice – un po' come avveniva rispetto agli eroi della tragedia greca, sempre eccessivi, quasi sovrumani – lo spettatore può ritrovare nei personaggi la verità dei propri stessi sentimenti. Che lo introducono a un'altra verità più universale, quasi filosofica: che gli uomini, nella loro miseria morale, si aggrappano l'uno all'altro, sperando di trovare, attraverso l'altro, una felicità che così non raggiungeranno mai.
Un personaggio secondario, in apparenza soltanto decorativo, un bambino, che si rifugia nei cinema e che è dedito alla piromania, esprime un pessimismo nei confronti della natura umana, una disperazione precoce, che in quel contesto suona sincera.
Kate Winslet, Jim Belushi, Justin Timberlake, e Juno Temple sono i quattro formidabili attori protagonisti di questo film assolutamente da vedere.
Gianfranco Cercone
(Trascrizione della puntata di “Cinema e cinema”
trasmessa da Radio Radicale il 30 dicembre 2017
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