Si sa che uno dei compiti, dei meriti, del cinema, è farci conoscere i paesi anche meno presenti alla nostra coscienza, o i più remoti dal nostro immaginario.
Sono usciti in questi giorni due film, che senza avere la dimensione di un vasto affresco, raccontandoci anzi un piccolo aneddoto, hanno però l'evidente, esplicita intenzione di dirci qualcosa di essenziale del loro paese di origine, quasi di tracciarne una radiografia.
Il primo dei due film è di origine libanese, si intitola L'insulto. Lo ha diretto Ziad Doueiri. È stato presentato al festival di Venezia dove ha vinto la Coppa Volpi per la migliore interpretazione maschile, assegnata all'attore Kamel El Basha.
L'aneddoto ruota, appunto, intorno a un insulto. Quello lanciato da un operaio palestinese contro il proprietario di un appartamento – un libanese nazionalista – il quale rompe la conduttura d'acqua che passa sotto il suo balcone, dopo che l'operaio l'ha riparata senza la sua autorizzazione. Sembrerebbe una lite di poco peso, e invece l'incidente via via si ingigantisce. Anche perché l'operaio, trascinato dal capo della ditta per cui lavora a presentare le scuse al proprietario dell'appartamento, accolto da quest'ultimo con un'invettiva contro tutto il popolo palestinese che Sharon avrebbe fatto bene a sterminare alle radici, molla a quel proprietario un cazzotto che gli incrina le costole.
Il caso viene discusso in tribunale. Il libanese ricorre in appello. I mass-media fanno da megafono alla vicenda. I politici locali ci speculano sopra. L'opinione pubblica si infiamma. Lo stesso presidente del Libano interviene cercando invano di ricomporre la controversia. Fino a che il tribunale pronuncia la sua sentenza definitiva, che non vi svelo.
Ora cosa avrà voluto dirci l'autore del film attraverso questa vicenda, molto tesa, altamente drammatica, ma allo stesso tempo paradossale, quasi assurda?
Ha certamente voluto parlarci del suo paese, del Libano, che, evidentemente per lui gode di una pace soltanto apparente, perché i conflitti sanguinosi di anni non tanto remoti (la guerra civile in Libano si è conclusa nel '90), hanno lasciato ferite ancora aperte, hanno mantenuto in un sordo conflitto alcune componenti della popolazione, tanto che una scintilla può ancora divampare in un incendio. Il film contiene un'esortazione ad abbandonare gli odi passati e a giungere a una pace reale.
Se, a proposito della lite in questione, il racconto sembra propendere per le ragioni dell'operaio palestinese (di cui però non si tacciono alcune malefatte giovanili), ha il merito, fra l'altro, di farci comprendere le ragioni dell'avversario, del nazionalista, il suo dolore antico, forse immedicabile. E del resto, a differenza delle contrapposte tifoserie, ognuno dei due protagonisti, in apparenza così granitici nelle loro posizioni, nutre il dubbio di avere torto. Ed è in quel dubbio, suggerisce il film, la prima cellula di una vera pace.
Il secondo film si intitola Loveless, è diretto dal regista russo Andrey Zvyagintsev (Loveless ha vinto il Premio della Giuria all'ultimo festival di Cannes).
In apparenza, racconta soltanto di una crisi coniugale. Ma è la forza espressiva delle immagini, la loro allusività, che ci fa comprendere che il tema del film è più ampio.
L'egoismo dei due coniugi, che si servono del bambino come di un'arma per ferire il loro ex, senza curarsi del dolore che provocano al bambino, fino a quando questi non decide di scomparire; tale egoismo è il sintomo di un gelo dei sentimenti, che nel film è diffuso un po' in tutte le cose. Non soltanto in un parco ghiacciato che occupa largo spazio nel racconto; ma è, ad esempio, nell'organizzazione asettica, in apparenza impeccabilmente ordinata, di un ufficio il cui direttore è un cristiano ortodosso che pretende che i suoi dipendenti siano tutti regolarmente sposati; è nell'indifferenza con cui la burocrazia tratta i problemi più drammatici dei cittadini; è in un appartamento moderno, dotato di tutti i comfort, dove si assiste distrattamente alle cronache, trasmesse dal telegiornale, dei drammi della popolazione ucraina colpita dalla guerra.
C'è un moralismo che può risultarci sgradevole in questa descrizione implicita della Russia contemporanea, accusata anche di edonismo, di rilassatezza dei costumi, anche i più privati. Ma è un moralismo che diventa sentimento. Ed è espresso da immagini sapienti, creative; e da una qualità di recitazione molto alta.
Si tratta di due film da non perdere. Entrambi sono entrati nella rosa dei finalisti per la nomination all'Oscar per il miglior film straniero.
Gianfranco Cercone
(Trascrizione della puntata di “Cinema e cinema”
trasmessa da Radio Radicale il 23 dicembre 2017
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