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Anna Lanzetta. Un regalo per Natale? Un atto d’amore.
Picasso,
Picasso, 'Maternità', 1905 
22 Dicembre 2017
 

È a Natale che ognuno di noi sente il bisogno di esprimere un desiderio e ad essere privilegiate sono: la pace e la solidarietà, purtroppo però la violenza delude ogni attesa e quella contro l’infanzia annulla ogni desiderio.

La violenza sui bambini ritorna alla mente come schegge pungenti, e in attesa del Natale, ormai alle porte, ci induce a interrogarci su questo problema che riguarda l’intera umanità. La storia ci riporta immagini cruenti di un’infanzia deturpata, offesa, condannata, violentata e uccisa. La “strage degli innocenti” apre una terribile parentesi, i campi di sterminio ci fanno inorridire, i bambini di Litice ci fanno emozionare, i bimbi che affollano le strade per elemosinare, aprono nel cuore profonde ferite e ci inducono a riflettere sul valore della vita.

La violenza sui bambini ci degrada a uno stato di inciviltà e scuote le nostre coscienze perché è frutto di menti malate che riguardano la società e spesso gli stessi genitori.

Quando anni fa, Elena, per un’esperienza di “scrittura creativa” realizzata a scuola, rivisitando il racconto di Collodi, scrisse che Pinocchio si rifiutava di diventare bambino perché aveva paura degli adulti, rimasi molto perplessa a una rilettura fatta da un’adolescente che suonava come un forte atto di accusa agli adulti.

 

Ci eravamo illusi di essere una società in progress ma considerata la condizione in cui l’infanzia vive, ne siamo ben lontani.

Credevamo di aver superato un tempo lo stato animalesco, perché pensavamo di agire col cuore verso i più deboli, i più bisognosi, verso l’infanzia, ma gli animali ci superano in amore.

Una società senza fondamenta basate sull’“amore” non può dirsi civile, non è tale chi non rispetta i diritti dell’infanzia in qualsiasi parte del mondo.

Non passa giorno senza che l’infanzia venga offesa nella propria dignità, segno di un degrado sociale che ormai non ha argini. I bambini sono vittime della nostra follia e dei nostri desideri. Fino a quando dovranno pagare, prima che ognuno di noi si accorga del rischio che la stessa società sta correndo, inquinando le proprie radici? Quale mondo possiamo immaginare quando la violenza si abbatte sui minori a dismisura e in qualsiasi forma? Quale evoluzione possiamo sperare quando si nega ai bimbi in molteplici forme di vivere la propria vita senza barriere e pregiudizi?

La condizione dell’infanzia nel mondo è dai suoi albori esposta senza difesa a ogni sorta di violenza e i fatti, che ogni giorno si susseguono, ne danno conferma. Sono frequenti le notizie e le immagini di bambini violentati, uccisi e seviziati e quando il carnefice è uno dei genitori, il racconto diventa horror. Quale crudele verità si cela dietro un tale atto? Dove cercare la risposta se non dentro ognuno di noi, componenti l’intera società? Pinocchio ha rappresentato, per generazioni di bambini, un percorso educativo. Ce l’ha messa tutta per diventare il modello che gli adulti volevano che fosse, ma la realtà ne ha deluso le aspettative. Pinocchio nasconde dietro il suo lungo naso una tristezza infinita e ha sul volto l’interrogativo di mille perché. Egli si sforza di soddisfare i desideri degli adulti e di seguirne i consigli. Assume pian piano consapevolezza del suo ruolo sociale, aiuta Geppetto nel ventre del Pescecane fino alla libertà, ed è felice, ma poi scopre che nel ventre della balena il piccolo Jona vivrà il triste gioco della vita così come tanti bambini nelle varie sfere sociali. Pinocchio-bambino non è felice, perché si sente tradito dalla stessa società che lo ha spinto al cambiamento. Ci guarda da anni con commiserazione, guarda al passato di tanti bimbi, guarda al presente, e la sua è una condanna senza appello.

Allora la riscrittura di Elena mi sorprese e mi rattristò molto ma sono sempre più convinta che i ragazzi vedono la verità più di noi adulti. Pinocchio resta solo, piange e sceglie di restare burattino perché ha paura della violenza degli adulti.

Pinocchio è per tutti noi il “Grillo parlante” che ci invita a riflettere, senza inquisire, per rispondere ai suoi quesiti e alle nostre colpe. Pinocchio-bambino ci chiede di vivere la sua età con l’emozione dei sogni e la fantasia del gioco. L'infanzia aspetta nel mondo il tempo della nostra ragione, da adulta, guarda con compassione noi bambini non ancora cresciuti e ci chiede il diritto di vivere, senza insidie, il gioco della propria vita.

Pinocchio rappresenta l’infanzia di tutto il mondo che piange per la nostra stoltezza e che tra le lacrime ci chiede un mondo migliore, ci chiede di ascoltare il nostro cuore.

Importanti le molteplici attività svolte a favore dell’infanzia ed elogiabile chi per l’infanzia si prodiga a livello individuale e collettivo ma il problema richiede una presa di coscienza di tutti e scelte mirate da parte di tutti nelle varie sfere sociali.

Elena aveva solo 14 anni quando riscrisse la storia di Pinocchio, un racconto che ha reso felice intere generazioni forse nell’illusione che Pinocchio si trasformasse in un bambino con i suoi sogni e le sue attese.

Perché Natale si muti per tutti in una grande speranza d’amore avvolgente tutti i bambini del mondo, leggiamo lo scritto di Elena:

Storia di un burattino che non diventa bambino
Pinocchio era un burattino molto particolare.

Agli occhi degli altri era solo un pezzo di legno, ma in realtà era birichino e capriccioso, proprio come un bambino vero. Pinocchio era molto fiero di questo, perché il suo sogno era proprio quello di trasformarsi in un bambino in carne ed ossa a tutti gli effetti.

Fin da quando Geppetto lo aveva costruito, si era ripromesso di fare il buono, perché la Fata Turchina, suo angelo custode; gli aveva detto che se si fosse comportato bene avrebbe realizzato il suo desiderio.

Dobbiamo considerare che per il povero burattino fu molto difficoltoso mantenere la sua promessa, ma pur di riuscirci, s’impegnò moltissimo. Pensate che una volta, piuttosto che andare a divertirsi con gli amici, preferì recarsi a scuola per amor della cultura, o forse, ( ma fa lo stesso) per amore delle caramelle, dato che il giorno prima, la maestra aveva promesso ai suoi cari alunni che avrebbe dato due dolcetti per ogni compito assegnato a casa, svolto correttamente.

Purtroppo, data la sua indole, non sempre Pinocchio riuscì ad essere così giudizioso e una volta, scappò di casa per una settimana, per alloggiare nel paese dei balocchi.

Laggiù si divertì un sacco, ma una mattina gli spuntarono le orecchie d’asino, perché ormai non sapeva più né leggere né scrivere. Sconsolato incominciò a piangere a dirotto e faceva una gran pena a vederlo!

Come sempre corse in suo aiuto la Fata Turchina che lo riportò a casa e, per farlo guarire del tutto, decise di iscriverlo alle scuole serali. Che punizione! Pinocchio però, con grande meraviglia di tutti, si comportò proprio come un bravo bambino, perché voleva realizzare a tutti i costi il suo sogno, ma la sorpresa che ebbe, proprio quando stava per raggiungere la sua meta, fu sbalorditiva.

Difatti le cose non andarono bene e il burattino non divenne mai un bambino a tutti gli effetti.

Eh sì, fu proprio così! E sapete perché? La Fata Turchina non può niente contro le decisioni dell’uomo, in un mondo in cui i sogni dei bambini e i giochi di fantasia stanno sparendo a causa della sete di soldi e di potere dell’uomo; neanche un povero burattino può sorridere soddisfatto ai propri desideri!.

La Fatina gli ha regalato la vita, ma la bontà innocente di un pargolo non è sufficiente a realizzare i suoi sogni.

Dalla finestra Pinocchio guarda tutto ciò che lo circonda: palazzi, case, pochissimi spazi verdi, mille e mille costruzioni in atto e per la prima volta capisce la realtà: con tristezza e rassegnazione sospira e con gli occhi rivolti al cielo, sogna mondi impossibili, mentre una piccola lacrima scorre sul suo viso inanimato.

 

Il racconto di Elena dal titolo “Storia di un burattino che non diventa bambino” è inserito nel libro Sapere per creare a cura di Anna Lanzetta, Morgana Edizioni, 2008


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