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Da S. Carlo al Natale, dagli “oh bej oh bej” a S. Biagio. Le feste (invernali) dei Milanesi 
di Mauro Raimondi
18 Dicembre 2017
 

Era lui, San Carlo, ad aprire le feste invernali dei milanesi il 4 novembre. Due giorni dopo i morti, la visita in Duomo per rendere onore alle spoglie del santo, poste sotto l’altare, era un atto doveroso. Dopo di che, tutti ad acquistare qualcosa alle bancarelle e poi a pranzo.

L’11 novembre, invece, era dedicato a San Martino di Tour, che proprio quel giorno aveva diviso il suo mantello con un povero per proteggerlo dal freddo. Al che, il sole era uscito riscaldando entrambi, dando origine all’espressione “l’estate di San Martino” che indicava, per l’11 novembre, la possibilità di avere una temperatura più mite. Come si auguravano anche i fittavoli in campagna, che quel giorno vedevano scadere i loro contratti e di conseguenza potevano anche essere costretti a traslocare.

Già nel 1288 un documento cita la festa di Sant’Ambrogio. Il modo di dire “oh bey, oh bej” risalirebbe al 7 dicembre 1510, quando Giannetto Castiglione, inviato dal Papa Pio IV a Milano, per essere ben accolto fece preparare un gran numero di pacchetti contenenti dolci e giocattoli da distribuire ai bambini al suo ingresso in città. Il corteo, con i piccoli felici per i regali, raggiunse infine la Basilica di Sant'Ambrogio e da allora – secondo la tradizione – si cominciò ad organizzare la fiera con bancarelle di vestiti, vecchi giocattoli, prodotti gastronomici tra cui i firòn, le castagne affumicate al forno, bagnate di vino bianco e infilate in lunghi spaghi. Inizialmente si teneva in piazza Mercanti, poi nel 1886 fu trasferita nella zona adiacente alla Basilica di Sant'Ambrogio, dove rimase per 120 anni fino al 2006, quando fu spostata nella zona del Castello Sforzesco.

La festa del Natale era caratterizzata, secondo quanto scritto da Pietro Verri, dalla cerimonia del ceppo risalente al IX secolo. Quel giorno il pater familias spezzava “un pane grande” su cui prima della cottura era stata impressa una croce. Quindi prendeva un grosso ceppo, lo metteva nel camino e attizzava. Sulle fiamme veniva poi buttata qualche goccia di vino, in seguito sorseggiato e distribuito, insieme al pane, a tutti i presenti.

El primm de l’ann se comenza a mangià la carsenza”: così scriveva il poeta Rajberti svelandoci quello che era il dolce di Milano a Capodanno, prima che si chiamasse panettone: del pane lievitato (avanzato dall’infornata settimanale) lasciato riposare due giorni e poi lavorato con farina, acqua, mele e uva. Fichi, zucchero e burro arrivarono dopo…

Il 6 gennaio, l’Epifania, era ed è il giorno che ricorda i Re Magi a Milano, i cui resti sono ancora parzialmente conservati nella chiesa dedicata al Santo che li portò in città da Costantinopoli: Eustorgio. Il corteo che conduce i Re Magi dal Duomo alla chiesa (a cavallo, ma in passato anche con cammelli ed elefanti) è testimoniato fin dal Trecento.

Sant’Antonio, protettore dei e dei , veniva festeggiato il 17 gennaio. Il relativo falò, ancora adesso molto in voga, aveva il significato di purificazione e rinascita: simboleggiava la vittoria della luce sulle tenebre, la fine dell'inverno. Insieme alla legna, vengono buttati vecchi oggetti, sicuri che il Santo li avrebbe sostituiti. Nelle cascine era tradizione trarre auspici dalla brace del falò, smossa dalle forche dei contadini. Le ragazze da marito chiedevano poi la grazia de fa el murùs, e venivano benedetti gli animali da stalla.

A Milano il 29 gennaio si teneva la festa di Sant’Aquilino, il cui corpo senza vita era stato ritrovato dai facchini, che lo avevano scelto come protettore. Il termine “facchinata” entrò nel gergo meneghino come una processione dal tono goliardico e carnevalesco: infatti, concluso il corteo che da via San Maurilio giungeva fino alla chiesa di San Lorenzo, i facchini se ne andavano nelle osterie della zona da cui uscivano solo a notte fonda e in uno stato che possiamo immaginare.

Il 2 febbraio si festeggiava la Candelora. Ereditata da celti e romani, la festa veniva celebrata con la distribuzione di candele benedette ai fedeli dopo una processione (illustrata da un bassorilievo medievale visibile ai Musei del Castello) che partiva da Santa Maria Beltrade, all’inizio di via Torino, e raggiungeva Santa Maria Maggiore, nell’attuale piazza Duomo.

La Candelora era celebrata in tutta Italia. Al contrario, invece, della ricorrenza del 3 febbraio, secondo cui ogni milanese deve mangiare una fetta di panettone avanzata dalle feste natalizie per proteggersi dal mal di gola. San Biagio, infatti, benedis la gola e él nas. Anche in questo caso, la tradizione ha un’origine storica: Biagio era un medico armeno, vissuto nel III secolo d.C., che divenne vescovo di Sebaste. Un giorno gli portarono un giovane che stava soffocando per una lisca di pesce conficcata in gola: lui, da bravo vescovo fece il segno della croce e da bravo medico gli diede una mollica di pane da inglutire. Il rimedio riuscì, e la sua fama giunse alle orecchie del prefetto Agricola che pensò bene di scorticarlo, facendolo diventare santo. Già, ma con Milano Biagio cosa c’entra? C’entra, perché leggenda vuole che una donna portasse a un frate un panettone prima di Natale perché, secondo consuetudine, lo benedicesse. Al che frate Desiderio, essendo impegnato, disse di lasciarglielo per passare poi a riprenderlo. Ma la donna se ne dimenticò e lui, un pezzettino per volta, lo finì. Pensava forse di averla fatta franca, ma un giorno la donna si ripresentò chiedendo il suo panettone. Lui, allora, per prendere tempo si recò nella credenza dove, invece delle poche briciole rimaste, se ne trovò un altro addirittura più grande del precedente. Era stato un miracolo. E che giorno era, quello? Il 3 febbraio, festa di san Biagio, da allora “protettore” del panettone… invenduto.

Auguri a tutti e… saludi


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