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Giorgio Macor. Lettere da Yerevan
17 Dicembre 2017
 

Giorgio Macor

Lettere da Yerevan

Neos Edizioni, 2017, pp. 352, € 22,00

 

L’odissea di una famiglia armena che nel 1946 insegue un’idea di patria, emigrando nella Yerevan sovietica. L’impatto con la terra promessa però è amaro. Le lettere tra i due fidanzati Maral e Kevork, che dopo la partenza di lei si trovano sulle sponde opposte della guerra fredda, diventano testimonianza di un sogno d’amore e di un momento poco conosciuto della diaspora armena.

Alla fine della seconda guerra mondiale, in un fervore di grandi speranze, la giovane Maral, il suo instancabile fratello Kirkan e la loro famiglia, rispondendo all’appello della Chiesa ortodossa, si trasferiscono da Beirut a Yerevan, entrando in un percorso di difficoltà economiche e politiche che li segnerà per sempre.

La famiglia di Kevork decide invece di restare in Libano ma egli, nonostante la situazione complicata, è convinto che raggiungerà Maral appena possibile e i due iniziano un lungo epistolario per tenersi in contatto. Con il trascorrere del tempo e nell’impossibilità di incontrarsi, nonostante la perseveranza del loro desiderio, i loro sentimenti si logorano costretti a trasformarsi in sogno, utopia, speranza, racconto reciproco di una vita parallela che nasconde la durezza del presente di Maral e l’imbarazzo di Kevork che non riesce a mantenere la sua promessa.

I drammi quotidiani di allora e i loro sviluppi saranno indagati anni dopo da Gregorio, un discendente di quella lontana separazione, che trovando il vecchio epistolario tra i due innamorati ripercorrerà i vecchi dolori cercando di porvi un tardivo e simbolico rimedio, fino a ricostruire i legami spezzati tra famiglie e generazioni.

Un romanzo coinvolgente, che attraverso una scrittura raffinata e originale, disegna un ampio affresco storico attraverso le voci accorate dei suoi protagonisti.

Gregorio Kirkan, quando ancora era bambino, aveva chiesto che cosa significasse il suo secondo nome, e gli avevano detto che corrispondeva al primo ma nella lingua del padre. Così aveva saputo che suo padre era armeno… Qualche anno dopo aveva saputo anche che Kirkan non era il nome di un nonno, ma di un non meglio precisato migliore amico del padre, quando egli ancora viveva nella sua terra natale, che non era l’Armenia… bensì il Libano.

Gregorio aveva trovato buste stipate di lettere, tutte scritte in armeno e datate dal ’46 in poi, fitte come confidenze e sfoghi impulsivi, per parecchi anni fino a ridursi alla fine del ’53 e quindi a esaurirsi come per morte naturale…

Non conosceva l’alfabeto armeno, ma aveva notato che vi erano due scritture diverse e dalla firma aveva compreso che alcune lettere dei primi anni e le ultime erano opera del famoso Kirkan, mentre le altre, la maggioranza e le sole scritte nel periodo intermedio, erano contrassegnate da un nome mai sentito, Maral, ma non ci aveva messo molto a immaginare che si trattasse della misteriosa sorella.

 

 

Giorgio Macor è nato a Torino, dove risiede, nel 1948. Laureato in medicina, negli intervalli della sua attività di medico ospedaliero ha trascorso parecchi anni lavorando in programmi di cooperazione in Paesi in via di sviluppo, fino a dedicarsi a tempo pieno alla cooperazione internazionale in campo sanitario. Ha vissuto a lungo in Tailandia, Etiopia, Pakistan, Tibet, Libano e ha visitato per lavoro parecchi altri Paesi in Africa e Asia, soprattutto in Medio Oriente e nel Sud-Est asiatico.

Canarini e papaveri è la sua prima pubblicazione, ma la scrittura è stata un’attività ricorrente, dai lontani tempi dell’università a svariati periodi di meditazione e bilancio emotivo. (Nota editoriale)


 
 
 
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