È sempre, per me, motivo di stupore, constatare la longevità della struttura narrativa di base della commedia teatrale antica; la sua capacità di adattarsi ai più svariati contesti storici e sociali.
Credo che tutti conoscano quella struttura elementare.
Prevede due giovani innamorati, il cui amore è ostacolato da certe convenzioni della società, incarnate da un terzo personaggio, che di quella società esprime le tendenze più tradizionaliste e anche repressive. Ma gli innamorati, dopo una serie di peripezie, riescono a superare quell'ostacolo e a coronare il loro amore, di solito sposandosi.
È uno schema che ritroviamo nella commedia greca, nella commedia romana, nella Commedia dell'Arte del Seicento, fino alle commedie cinematografiche dei giorni d'oggi. Per esempio, nella commedia francese, diretta da una regista di origine iraniana, Sou Abadi, uscita in Italia con il titolo Due sotto il burqa (ma il cui titolo originale è: “Cherchez la femme!”).
Nel ruolo dei due giovani innamorati, c'è uno studente universitario, i cui genitori sono immigrati in Francia dall'Iran, e una ragazza, anche lei di origine straniera. Chi si frappone più di tutti alla loro unione, è il fratello della ragazza, che si è convertito all'Islam più radicale. Dallo Yemen piomba a Parigi e si insedia nell'appartamento della sorella dove pretende di dettare legge: la ragazza non potrà più uscire di casa senza la sua autorizzazione; tanto meno potrà partire per New York, dove la attende uno stage alla sede dell'Onu; se un giorno si sposerà sarà con un uomo che lui avrà scelto per lei. Quanto al fratellino più giovane, che convive con la sorella, sarà spedito nello Yemen per essere indottrinati dai Fratelli Musulmani.
Ora, la ragazza avrebbe tutta la grinta necessaria per sbarazzarsi di questo fratello tanto ingombrante. Ma è nello spirito della commedia che anche il personaggio più negativo, anche se viene combattuto, sia allo stesso tempo tollerato. La sua sconfitta finale non comporta il suo annientamento, né fisico né morale.
Nel nostro caso, la ragazza, che comprende che il fratello è diventato un fanatico dopo la morte dei genitori avendo trovato un conforto nella religione, anche se assume un atteggiamento ribelle, lo asseconda. Accetta, almeno apparentemente, di restarsene prigioniera in casa. Ma il suo innamorato non è per nulla disposto a rinunciare a lei. E allora (un espediente tipico della commedia è il travestimento!), si ricopre dalla testa ai piedi con il burqa, che lascia scoperti soltanto i suoi grandi occhi magnetici; interpreta il personaggio di una ragazza fervente musulmana, obbediente ai precetti più severi del Corano, e in questa veste riesce a introdursi e a farsi accettare nella casa dell'amata.
Ma subentra una nuova complicazione: questa figura artificiale di donna, così pudica, così esperta del Corano, di cui sa citare anche i passi più poetici, quelli che elogiano la dolcezza d'animo, che inducono all'amore per tutte le creature umane, le più diverse tra loro, perché Allah le ha create tutte quante dando loro la propria sostanza; insomma: questo fantasma di donna, fa perdere la testa al fratello, a tal punto che niente riesce a distoglierlo dal proposito di sposarla.
Non vi svelerò come si scioglie l'intrigo, anche se la conclusione non è imprevedibile. Così come è trasparente la morale che la commedia suggerisce. Un Islam tollerante e moderato è contrapposto, ed evidentemente preferito, a un Islam fondamentalista. Più in generale, e forse più profondamente, la realtà della vita è contrapposta a ogni fissazione illusoria, che sia quella dei fanatismi religiosi o delle ossessioni erotiche.
A volte il racconto risente di qualche passaggio un po' grossolanamente caricaturale. Ma il terzetto dei personaggi principali, e anche qualche comprimario, è tracciato alla svelta, ma con grazia e con efficacia. Ma la principale virtù del film è quella di somministrare saggezza, divertendo.
Piacevole, interessante.
Gianfranco Cercone
(Trascrizione della puntata di “Cinema e cinema”
trasmessa da Radio Radicale il 16 dicembre 2017
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