I grandi poeti scrivono/ sulle orme del mondo/ coi piedi fasciati/ per un viaggiare eterno. Questi sono i versi che si incontrano nella poesia con cui si apre Le intermittenze della pioggia, e non è un caso che Mirko Cremasco abbia scelto proprio questi versi per presentarsi al lettore. In quel “per un viaggiare eterno” si condensa la sua ricerca poetica, il suo andare sul bordo dell’essere e della parola con la consapevolezza di non poter cogliere mai a pieno essere e parola, se non dissodandoli e cercandoli in un eterno che è luogo in cui si incontrano “molecole di notte” e “teschi delle clessidre”, “amore a spirale” e “abbracci sfigurati nel vuoto della retina”. E in questa ricerca di eterno il viaggio si fa oscillazione continua, un terra-acqua-golfo-polvere-monte-mare che è fuoriuscire da un elemento per arrischiarsi nel successivo in un processo mai concluso. Essenza e assenza vengono così a rivelarsi in un dire che è interminabile germogliare “a colpi lenti di remo”, in “giardini silenti” e nella “sindone astrale” della polvere e del suo “lavoro silenzioso”. E così di superficie in superficie, da parola a parola, l’autore guarda e denuda ciò che lo circonda e ciò che sente, si confronta e raffronta in una filigrana sottile di immagini e amore, essenza e dolore. E in questo suo andare, e proprio perché si tratta di un andare eterno, ecco che l’autore a poco a poco dal visibile della vita si avvicina al non-visto, a ciò che segna il limite della vita e che sconfina nel dopo la vita, ne “l’altro mondo”. Ossia: è aprendosi e muovendosi da ciò che ha nome verso ciò che non ha nome che si arriva a quel “S’Accabadora zitta tra i mogani”.
Un viaggiare eterno che si compie con e durante le intermittenze della pioggia. E quindi per fasi. Per punti. Ogni fase/punto è movimento e nuovo equilibrio, libertà di riconoscersi come “fiori glassati dalla brina” o “memoria delle cose importanti stretta in un soprabito”.
Un andare, quindi, eterno, per gradi e libero. E in un linguaggio e in una versificazione in cui sanno coesistere profondità e bellezza, in cui ragione e istinto si tracciano in un equilibrio vivo e doloroso, consapevole che la vita, che esserci, è far convergere, provare a far convergere, tutti gli opposti nella parola che noi siamo. Il lavoro silenzioso/ della polvere/ è una sindone astrale…/ Una grande nube al tramonto/ in un perpetuo accumularsi./ Custodire, soffocare.
Silvia Comoglio
Mirko Cremasco, Le intermittenze della pioggia
Campanotto Editore, 2017, pp. 112, € 12,00