Firenze – “L’Italia ha perso centomila bambini. L’Istat fotografa un Paese che non riesce a contrastare il calo delle nascite”. È uno dei tanti titoli dei media italiani di ieri a commento del fatto che nascono meno bambini altrettanto italiani sul territorio della Penisola; commenti abbastanza unanimi nel valutare i dati in termini negativi. Un trend che grossomodo si allinea a quelli della maggior parte dei cosiddetti Paesi sviluppati, mentre è il perfetto contrario a quello che accade agli altrettanto cosiddetti Paesi in via di sviluppo. E questi ultimi, che non ce la fanno completamente ad affrontare questo loro passaggio ad una vita meno disperata, sono anche i Paesi da cui partono molti migranti che vengono a cercar fortuna da “noi”; e quando riescono a non morire durante il viaggio, si insediano e fanno figli a iosa in nome della loro tradizione culturale e di sopravvivenza. Quella stessa tradizione culturale che, chi si lagna del calo demografico di italiani, sembra rimpiangere. La conseguenza logica tra figli e sicurezza e continuità della famiglia, ha avuto un senso nelle società dove la presenza fisica e numerica era prerogativa di benessere e ricchezza, ma ci lascia più di un dubbio nel 2017. Figli per le guerre, per i campi o le botteghe della famiglia; figli per popolare le città e renderle quindi più sicure e difendibili. Ma oggi, che le città (le metropoli, essenzialmente) sono degli agglomerati/mostri di invivibilità; oggi che la sicurezza è quasi esclusivamente in termini tecnologici; che il lavoro non è necessariamente aggregazione di umani in certi luoghi (grandi fabbriche, etc.), ma uso delle individualità, anche territorialmente dislocate…. Oggi, che senso ha lamentarsi così? Certo, non siamo ancora alla globalizzazione totale, e il mondo è diviso in cosiddetti sviluppati e in via di sviluppo. Ma in questo frangente, se in Paesi come l’Italia si fanno meno figli, perché non valutare questa tendenza in termini positivi? Una tendenza contraria è in corso in tante parti del mondo… parti del mondo che non possiamo ignorare perche’ “sono al di là delle colonne d’Ercole” (siamo nel 2017!!), ché sono elementi integranti il nostro sistema, il nostro trend; sia perché non abbiamo alternative a considerarli in tutte le nostre politiche (possiamo fare a meno, per esempio, di certi metalli per fare telefonini, metalli che sono nei Paesi del Terzo e Quarto mondo, o di mano d’opera per la raccolta dei pomodori?), sia perché sono ancora il retaggio di quella cultura di prolificazione incosciente che -per svariati motivi, non ultimo quello religioso- abbiamo loro inculcato con secoli e secoli di sfruttamento violento?
Noi siamo preoccupati perché sembra che queste valutazioni e queste domande siano secondarie per l’informazione e i decisori politici. Entrambi sembra che lavorino per creare allarmi e cercare consensi. Ma come e su cosa? Nel primo caso (informazione), creando allarmi che sembrano tali solo a seguito di un’attenzione limitata e non globale dei fenomeni. Nel secondo caso (decisori politici) guardando solo ad un immediato presunto disagevole, e mai oltre il proprio naso o semplicemente dietro l’angolo.
Vincenzo Donvito, presidente Aduc