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Stefano Bardi. La nascita della Letteratura Femminile in Italia 
“Una donna” e “Amo dunque sono” di Sibilla Aleramo
24 Novembre 2017
 

Quando si parla di Letteratura Femminile in Italia, subito ci vengono in mente grandi nomi come per esempio Dolores Prato, Dacia Maraini, Isabella Santacroce, e tante altre ancora. Grandi firme queste sono, è vero, ma comunque sono tutte “figlie” del romanzo Una donna della scrittrice e poetessa Sibilla Aleramo (Alessandria, 14 agosto 1876 – Roma, 13 gennaio 1960), nome d’arte di Marta Felicina Faccio. Una scrittrice che ancora prima di essere un’intellettuale, rappresentò il simbolo ufficiale delle lotte femminili, che nel secondo Novecento furono portate avanti da tante femministe e che già dal tempo dell’Aleramo, si basavano sul diniego del maritaggio, della gravidanza, e sulla denuncia sociale della disparità lavorativa fra l’uomo e la donna.

Il 1906 è l’anno per l’appunto del romanzo Una donna, che può essere considerato come un’autobiografia dell’Aleramo stessa, che è usata da essa come uno strumento per mostrarci la sua probità e come un autoritratto pubblico, che ci mostra la scrittrice nel suo più profondo intimo. Romanzo, questo, scritto dall’Aleramo in prima persona e che costituisce, ancora oggi, il punto di partenza della letteratura femminile e il punto di contatto con le scrittrici dei giorni nostri. Opera che si basa sul rifiuto dell’indipendenza come colloquio paritario con un universo di principi canonici, sulla rimarcazione e divisione della temporalità caloroso-letteraria, sul legame d’inferiorità fra l’uomo e la donna, sull’allontanamento (secondo la mentalità maschile) della donna dalle problematiche etico-carnali come l’aborto e lo stupro; e che è costruita con una lingua misera, afona, e “senza luce”. Opera, quella dell’Aleramo, che è concepita come una denuncia dell’Uomo, che è visto e concepito dalla scrittrice come un agnello sacrificale e un carnefice allo stesso tempo; e della sua brutale e selvaggia indole padronale. Denuncia che è allo stesso tempo una rivincita di Sibilla Aleramo su precisi episodi intimi che la riguardano, come per esempio il disastro coniugale dei suoi genitori, il tentato suicidio e la conseguente pazzia psichica della madre, sulle avances e sullo stupro da parte di un operaio del padre, su un matrimonio e un figlio indegni, e sulla morte spirituale di se stessa. Più nel dettaglio, l’opera è divisa in tre grandi macro-sezioni, dove nella prima vengono rappresentate le puerili immagini della scrittrice e le ombre della sua famiglia, che è composta da una madre eticamente lacerata e mentalmente instabile, da un padre follemente amato da sua famiglia ma allo stesso tempo però è un’ombra sempre lontana, dalla famiglia e infedele con la moglie; e da un marito che abuserà sessualmente di lei a diciassette ani nella fabbrica di suo padre, dal quale avrà un figlio non voluto, proprio come non fu voluto il matrimonio, con il suo stupratore e aguzzino. Matrimonio che significherà per l’Aleramo sottomissione e prigionia, dentro le sue mura casalinghe. Nella seconda sezione assistiamo invece alla nascita etica e spirituale dell’Aleramo femminista, attraverso i libri sociologici da lei letti e attraverso, la collaborazione giornalistica con la rivista Muller, che faranno nascere nella scrittrice una nuova e inedita lettura di temi sensibili come il sesso, la gravidanza, la lotta sociale, e il riconoscimento dei diritti paritari fra l’uomo e la donna. Nella terza e ultima sezione, assistiamo alle iniziative materiali dell’Aleramo attivista femminista. In particolar modo, la maternità e concepita come contemplazione e appagamento di un matrimonio insignificante, ma allo stesso tempo come prigione della sua femminilità. Romanzo, quello dell’Aleramo, in cui le uniche figure maschili da lei descritte sono quella del padre e quella di suo marito, dove il primo è concepito dalla scrittrice come un vanto supremo del sesso maschile e come una luce ispiratrice, mentre invece suo marito è visto come un essere spregevole, spiritualmente sporco, e come una creatura sessualmente depravata.

Accanto a questo romanzo possiamo ricordare, seppur forzatamente, il romanzo del 1927 Amo dunque sono. Romanzo epistolare composto di lettere scritte dall’amata di Luciano (Giuliano Parise), e che non troveranno risposta da parte di quest’ultimo; e che espone il tema della donna innamorata, che concluderà bene la sua vicenda amorosa, nella totale falsità e irrealtà etico-spirituale. La donna rappresentata dalla scrittrice, non è qui una donna sottomessa in primis e poi una moglie ribelle come nel romanzo Una donna, ma solo e unicamente una schiava, una sottomessa, e una macchina sessuale. Anche in questo romanzo, come in quello del 1906 c’è spazio per la figura maschile che in questo caso è rappresentata da Luciano, che è visto e concepito dalla scrittrice come un essere spregevole, immaturo, bambinesco, e sessualmente depravato.

 

Stefano Bardi

 

 

 

Bibliografia di riferimento

A. Nozzoli, Tabù e coscienza: la condizione femminile nella letteratura italiana del Novecento, La Nuova Italia, Firenze, 1978.

M. Federzoni, I. Pezzini, M. Pia Pozzato, Sibilla Aleramo, La Nuova Italia, Firenze, 1980.

B. Conti, A. Morino, Sibilla Aleramo e il suo tempo. Vita raccontata e illustrata, Feltrinelli, Milano, 1981.

F. Contorbia, L. Melandri, A. Morino, Sibilla Aleramo. Coscienza e scrittura, Feltrinelli, Milano, 1986.

M. Triglia, Letteratura al femminile: dalle origini ai giorni nostri, Sciascia Editore, Caltanissetta, 2004.

C. Cretella, S. Lorenzetti, Architetture femminili: immagini domestiche nella letteratura del Novecento italiano. Sibilla Aleramo, Natalia Ginzburg, Dolores Prato, Joyce Lussu, Franco Cesati Editore, Firenze, 2008.


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