Elena Mearini
È stato breve il nostro lungo viaggio
Cairo Editore, 2017, pp. 208, € 14,00
Nella Milano che conta, nel mondo dell’imprenditoria, Cesare, un cinquantenne affascinante, è un dirigente perfetto, un uomo di potere; responsabili i suoi dipendenti e collaboratori, bella la moglie Margherita, che ha fatto rinunce per lui, dedita interamente al marito ed alla figlia Maja; ritmo di vita frenetico, tenore di vita decisamente elevato.
Elena Mearini lascia parlare Cesare. Ma alla sua voce si alterna, per brevi pagine di diario in corsivo, un’altra voce. È una voce femminile che recupera un’infanzia fatta di vuoti affettivi – dolorosissimo e ossessivo il bisogno del padre assente –, infanzia trascorsa a colmare i vuoti con azioni di sadismo, fino ad approdare ad una forma di insensibilità al dolore, a costruire una maschera di sé da proporre agli uomini che usa con tempismo e abilità e che si lasciano dominare. È “la scarpa che calpesta la coda degli uomini”.
Lei è Alma, la traduttrice dall’Arabo che incrocia il percorso di Cesare e che gli diventa indispensabile, amante con cui lui può essere se stesso, con la quale non deve recitare il ruolo del manager, marito e padre perfetto. Ma Alma ne ha radiografato i punti deboli e capisce anche quello che lui non svela. È Cesare ad essere all’oscuro della vita di lei.
Anche Cesare porta cicatrici del passato. Si tratta di un padre che l’ha educato e obbligato con durezza e crudeltà mentale, fin dai primi passi, ad essere un vincente della vita: testa alta, sguardo fiero, sicurezza di sé, passo sicuro. Mai mostrare debolezze. Un robot perfettamente programmato, la realizzazione di un “falso talmente falso che non ricorda più l’originale”.
Non ha mai amato la moglie – del resto non ha scelto ma dalla vita gli è stata imposta –, l’ha sposata perché adatta al suo ambiente, convinto che Margherita conti pienamente su di lui. Non gli piace niente di quello che lei sceglie per la casa e per la loro quotidianità, tuttavia finge di apprezzarla, perché lei è docile, rappresentativa, capace di tessere e mantenere le giuste relazioni sociali. Intelligente e intuitiva, più di quanto lui stesso immagini, capace di recitare se stessa, ha sempre cercato la prova d’amore mancante e sa nascondere il vuoto con cui convive.
Maja vede il padre di sfuggita, lo vorrebbe con sé a raccontarle le fiabe, ma si è abituata alle sue giustificazioni, alle sue improvvise partenze per lavoro.
Una famiglia dell’alta borghesia, perfetta agli occhi di tutti, invidiata. Ma dolorante e finta, tranne lo sguardo pulito e la purezza delle parole di Maja.
Le partenze, i cambiamenti improvvisi di programma anche nei giorni più importati per la figlia, dipendono dal richiamo dei sensi. Cesare corre da Alma, per lei improvvisa le più fantasiose finzioni. Uomo che si è imposto come figura di maschio che non deve chiedere ed a cui tutti ubbidiscono, Cesare diventa un pupazzo nelle mani di Alma. Fino alla tragedia, la morte di lei, non cercata, non voluta, uno scherzo beffardo del destino in mezzo ai giochi amorosi. Cesare vede crollare il mondo che si era abilmente costruito ed escogita il modo più vigliacco per uscirne pulito. Ma l’immagine di lei lo perseguita e cambia i suoi giorni e le sue notti.
Un adolescente dal ciuffo biondo, che ama il tennis e vaga in bicicletta anche per vie secondarie, fa la sua comparsa sulla strada di Cesare. E lo tiene in pugno perché ha registrato la verità. È un ragazzo che ha un doloroso bisogno della figura paterna, ha un vuoto terribile d’amore, ma anche una maturità ed una scaltrezza superiori ai suoi coetanei. Uno strano patto è siglato tra Cesare e David, ed il manager prova in tutti i modi, sia pur con affannose bracciate, a non andare a fondo. Finché la vita non gli presenta il conto. Le richieste di David lo hanno costretto tuttavia a riflettere, gli hanno offerto suo malgrado occasioni di scoprire con stupore sentimenti ed emozioni mai provati, fino a sentirsi pienamente padre. Ed a prendere decisioni che manderanno a pezzi la sua immagine.
Romanzo che rivela ancora una volta la capacità della Mearini di scendere nel groviglio delle coscienze, di svelarne le doppiezze, i segreti, le finzioni, ma soprattutto i bisogni. Perché l’adulto che si comporta come Cesare, o Alma, ma anche come David e Margherita, deve curare un male profondo, deve ricucire gli strappi, ritrovare i pezzi mancanti, colmare gli spazi vuoti. Un invito a cercare le radici profonde del male.
Indubbiamente esasperate le situazioni, per l’esigenza del romanzo, comunque tali da far riflettere sulla autenticità dei rapporti umani sia nel pubblico che nel privato, sulla difficoltà di distinguere il vero dal falso, sull’obbligo dell’apparire che è l’imperativo categorico della società del cosiddetto benessere.
Marisa Cecchetti