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Gianfranco Cercone. “Una questione privata” di Paolo e Vittorio Taviani
12 Novembre 2017
 

Quando si parla di un film tratto da un romanzo – soprattutto se si tratta di un celebre romanzo – si è indotti a confrontare le due opere; a chiedersi se il film abbia rispettato, se non la superficie dei fatti, almeno lo spirito del romanzo.

È un confronto legittimo. Però se si vuole valutare la riuscita di un film, io credo che il film vada considerato in se stesso, autonomamente. Perché potrebbe darsi un film bello che si sia servito di un grande romanzo come di un pretesto, rielaborandolo liberamente.

Nel caso di Una questione privata, il film che i fratelli Paolo e Vittorio Taviani hanno, appunto, “liberamente tratto” dal romanzo omonimo di Beppe Fenoglio, generalmente considerato uno dei grandi romanzi della letteratura italiana del Novecento, non è mio compito stabilire se certi difetti del racconto fossero già del romanzo, o se il film li abbia evidenziati, o se siano propri del film. Fatto sta che compromettono, a mio parere, la piena riuscita dell'opera.

La questione privata a cui allude il titolo riguarda Milton, uno studente di letteratura così soprannominato, che è stato ed è tuttora innamorato di una ragazza, forse ricambiato o forse no, ma che di fatto probabilmente si è concessa, piuttosto che a lui, a un altro uomo, un grande amico di Milton.

Comunque, la possibilità dell'amore tra Milton e lei è stata indefinitamente allontanata dalla guerra. La storia si svolge negli anni Quaranta, quando tanto Milton che il suo amico sono tra le fila dei partigiani. Ma è durante la visita in una villa dove i tre, in tempo di pace, avevano trascorso delle giornate insieme, che Milton è colto e lacerato da quel dubbio: lei ho davvero “tradito” con il suo amico?

E per appurare la verità vuole a tutti i costi raggiungere l'amico, che è arruolato in una diversa brigata dei partigiani e poi finisce prigioniero dei fascisti.

Ora: è inverosimile che nel mezzo di una storia pubblica tanto tragica, piena di orrori, la mente di un uomo sia occupata da una questione privata?

Io credo di no. È anzi un'intuizione poetica quella per cui un partigiano non sia soltanto un partigiano, ma conservi in sé tutte le passioni di un uomo. E in ogni caso Milton è un introverso, quasi un lunatico, incline ad astrarsi dal mondo intorno a lui.

In effetti, il suo caso psicologico non appare comune. Perché, malgrado tutto il tempo trascorso insieme alla donna, non era mai riuscito a dichiararle il suo amore? Perché quell'amore era rimasto soltanto contemplativo? Perché, consciamente o inconsciamente, l'ha quasi ceduta all'amico?

Forse Milton è soltanto un timido. O forse, al fondo della sua timidezza, ci sono delle complicazioni nevrotiche.

Fatto sta che il film non vuole, e non ha il tempo, di indagare il suo caso intimo, che resta così, più che ambiguo, sfuggente, irrisolto.

Ma non riuscendo, lo spettatore e l'autore, a rivivere i suoi sentimenti, anche la sua ricerca strenua, quasi eroica, dell'amico e della verità che lui conosce, quella ricerca che è il filo conduttore del racconto, non appassiona. Resta solo un pretesto per inanellare alcuni episodi di guerra, o per ritrarre alcuni personaggi che Milton incontra durante il suo viaggio.

Alcuni di quegli episodi sono molto belli. Penso all'incontro di Milton con i suoi genitori, sotto il porticato di una città sferzata da un vento che si direbbe carico di disgrazie: un incontro muto, al quale Milton dopo varie titubanze, non riesce a rinunciare; fatto solo di un abbraccio convulso, prima di una fuga precipitosa, perché avviene quasi sotto gli occhi dei fascisti. O alla figura di una bambina, l'unica superstite della strage dei suoi familiari, i cui cadaveri sono allineati davanti alla loro casa di campagna: entra in quella casa a bere un bicchiere d'acqua, a lunghi sorsi intervallati dall'affanno, prima di ridistendersi buona buona insieme ai cadaveri. Oppure all'apparizione degli aerei da bombardamento degli Alleati, una lenta processione nel cielo, funebre ma che promette la salvezza.

Sono queste visioni, altamente espressive, cariche di senso del dramma o della tragedia, che fanno la riuscita del film; anche se una riuscita soltanto parziale, frammentaria.

 

Gianfranco Cercone

(Trascrizione della puntata di “Cinema e cinema”
trasmessa da Radio Radicale il 11 novembre 2017
»» QUI la scheda audio)


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