È con molta partecipazione che si seguono le umanissime vicende delineate in Tratteggi, l’ultima raccolta di prose poetiche di Marco Furia edita da Anterem Edizioni. A coinvolgere è soprattutto il modo in cui di volta in volta l’autore si muove e fa muovere su un terreno noto ma non privo di fascino il loro protagonista. Un protagonista la cui identità prende forma nel dialogo continuo con oggetti e situazioni con cui si misura e confronta. Dialogo continuo, ho detto, ma anche duplice perché due, almeno due, sono i piani in cui questo dialogo si snoda. Da un lato, infatti, ci si incontra e scontra con trilli di campanello manopole pulsanti e apparecchi elettrici e, dall’altro, con l’indeterminatezza l’inaffidabilità e quell’“avverso quotidiano” di cui tutti abbiamo e facciamo esperienza. Ed è così, in questo dialogo, che viene a costruirsi un io che si moltiplica nell’inesauribile superficie di oggetti e vicende e che su questi oggetti e vicende si ritrova a riflettere per trarre ma anche non trarre conclusioni e per coglierne ma anche non coglierne senso e portata. Quello che di certo succede è che nel corso della lettura si accorciano sempre più le distanze tra sé e questo io e che in questo io si finisce per specchiarsi, se ne vedono legami e analogie e ci si riconosce, e si sorride anche, di quell’impossibilità di gestire il caso e il caos di oggetti e destino.
Il linguaggio poi e l’accuratissima scelta di sostantivi e aggettivi, la scioltezza espressiva che li accompagna, dilata e amplia quella vita che si cela e abita anche in ciò che è inanimato, rivelandoci come l’inanimato abbia un suo grado e una sua soglia di esistenza, cosa, questa, testimoniata non solo dagli aggettivi che lo definiscono (è il caso di «ricurvo manico di policromo ombrello» o di «aperto ampio cassetto, non avendo trovato utile accessorio, percorse rettilineo corridoio e raggiunse ligneo armadio») ma anche e soprattutto da quel suo essere spesso difettoso inaffidabile e, se vogliamo, anche capriccioso come nel caso di: «Leggera pressione operata su sporgente tasto provocò l’illuminarsi di minuscola spia rossa ma non il desiderato avvio di (affidabile?) “lettore cd”».
Ma scegliendo un linguaggio così mirato e al contempo “cosmico” l’autore non fa accadere solo questo. Succede che la vita, la nostra vita, acquista pienezza perché questo linguaggio richiama continuamente, anzi, pretende la nostra attenzione, e ci espone e ci colloca senza riserve nel nostro esserci e nell’esserci di ciò che ci circonda. Con questo linguaggio Marco Furia scolpisce di vita nello stesso modo animato e inanimato, ci mostra come le soglie, tutte le soglie, possano essere superabili oltrepassabili e fra loro interagibili se è la parola a dire e a connotare, con il suo saper essere esistenza, il flusso di oggetti e vicende in cui siamo quotidianamente immersi.
Silvia Comoglio
Marco Furia, Tratteggi
Anterem Edizioni, Verona, 2017