Ormai archiviati la consultazione sull'autonomia regionale ed il voto in Sicilia, c'è spazio per ragionare con più serenità su temi ancora di stretta attualità. C'è chi ha definito il federalismo come la moda di una stagione diversa da quella che viviamo ora. Nel corso degli anni '90, infatti, non c'era un partito che non si fosse convertito alla necessità del decentramento, inteso prevalentemente in senso finanziario, per pura convenienza. L'intento era palesemente quello di far fronte alla crescita della Lega, sostenitrice dalla prima ora di un federalismo di cui gli italiani hanno sentito sovente parlare, ma troppo spesso a sproposito, e divenuto quasi una priorità nazionale. Negli ultimi tempi l'argomento era però scomparso dall'agenda politica italiana, salvo farvi ritorno coi referendum sull'autonomia della Lombardia e del Veneto tenuti il 22 ottobre, ed è quindi tornato di interesse pubblico meritando pertanto alcune considerazioni e i dovuti chiarimenti.
L'autentico concetto-chiave del federalismo è «l'unità nella diversità», come mostrato da nazioni in cui si è affermato come modello istituzionale. La Germania, col decentramento attuato nei suoi lander, e la Svizzera, dove i cantoni godono di vasta autonomia, sono gli esempi a noi più vicini, ma pure gli Stati Uniti rappresentano un federalismo funzionale e pragmatico. Lo testimonia un fatto sfuggito qualche anno fa alla nostra attenzione: il possibile default della California (la Lombardia statunitense sul piano economico, per intenderci) è stato liquidato con una semplice emissione di titoli di stato da parte della Federal reserve, mentre nel Vecchio continente è bastata la crisi di un piccolo Paese, la Grecia – il cui pil è solo l'1% di quello dell'intera Unione europea –, per mandare in tilt la fragile impalcatura comunitaria.
Pure le rivendicazioni indipendentiste avanzate in passato dalla Scozia e attualmente dalla Catalogna potrebbero trovare una ragionevole e soddisfacente soluzione in un contesto federale europeo, evitando situazioni controproducenti e pericolose tensioni interne ai rispettivi stati.
Ecco quindi la necessità di superare gli steccati esistenti per dare risposte adeguate ai tempi e trovare una risposta a problemi non solo contingenti, ma pure a lungo termine, e non esclusivamente interni e d'ordine economico, quali le ricorrenti crisi congiunturali e la perdurante disoccupazione giovanile, ma anche epocali e di dimensioni internazionali, come il terrorismo e le ricorrenti migrazioni dei richiedenti asilo.
Appaiono dunque assai limitative le proposte di chi invoca il federalismo da decenni prospettando espedienti anacronistici e scriteriati che acuiscono le differenziazioni, le contrapposizioni e le separazioni anziché tendere alla solidarietà e a una visione comune da parte dei soggetti interessati. Basta con gli equivoci, dunque, senza dimenticare quanto profetizzava già settant'anni orsono un grande federalista europeo, Luigi Einaudi, ovvero che la sola alternativa possibile è fra federarsi o scomparire. Parole lungimiranti, ma di sconcertante attualità, su cui occorre meditare a fondo ancora oggi.
Guido Monti
segretario della sezione “Ezio Vedovelli”
del Movimento federalista europeo