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Stefano Bardi. Letteratura anni ’90: Enrico Brizzi
02 Novembre 2017
 

Letteratura generazionale fu definita, quella del grande scrittore Pier Vittorio Tondelli, eppure chi incarna meglio questa definizione al giorno d’oggi è lo scrittore Enrico Brizzi (Bologna, 20 novembre 1974). Scrittore degli anni Novanta, che però scrive romanzi ispirati agli anni Settanta-Ottanta, dove immense classi giovanili hanno espresso, con urla e fiamme, tutte le loro future esigenze esistenzialistiche. Letteratura, quella brizziana, che nasce quando ancora il giovane Brizzi nei panni da studente liceale collaborava con la rivista di fumetti Frigidaire, in cui redasse feroci e aggressivi articoli contro l’antiquato insegnamento scolastico, che erano accompagnati da note di denuncia contro i media che diffondevano molte volte e troppo facilmente articoli con inesatte e incerte informazioni. Una letteratura che ha come principale scopo quello di creare opere letterario-cinematografico-televisive, grazie anche all’utilizzo di un registro cantilenato, composto da intonate melodie vocali e linguistiche. Un linguaggio in cui a volte, però, si esprime volutamente con un dizionario rozzo, blasfemo e lubrico, per rappresentare e denunciare le virtù esistenziali.

Dizionario, quello brizziano, composto da un italiano medio mischiato e fuso con diverse placche linguistico-verbali angloamericane, ispaniche, e francesi, che sono concepite dallo scrittore bolognese, come vocaboli graziosi da contrapporre alla quotidiana e giornaliera lingua. Anche i latinismi e i culturismi fanno breccia nelle sue opere, per essere però usati come canzonature sulle nozionistiche degli adulti, sulla mente dei giovani. Accanto a questo complesso linguaggio, il Brizzi usa gerghi musicali e sociali, con neologismi della generazione giovanile degli anni Novanta. In poche parole e per concludere con questa panoramica generale, possiamo dire che i suoi romanzi hanno la stessa funzione della letteratura orale, ovvero, i testi brizziani sono stati pensati e creati dallo scrittore per una lettura a voce alta, in modo che possano prendere una loro melodia, possano perseguire determinati scopi, e possano realizzare feroci attacchi sociali ed etici. Per fare tutto ciò il nostro scrittore bolognese, si ispira a piene mani alla cosiddetta “letteratura minore”, ovvero ai fumetti, al cinema, e alla musica per rileggere nel profondo, la società italiana degli anni Novanta e anche degli anni Duemila.

Passiamo ora all’analisi delle sue maggiori opere letterarie.


Il 1994 è l’anno del romanzo Jack Frusciante è uscito dal gruppo. Una maestosa storia d’amore e di rock parrocchiale. Un tipico scenario degli anni Novanta è qui raffigurato, in cui gli adulti sono rappresentati come creature brumose e socialmente emarginate, dove gli amori vissuti sono perennemente tristi, e dove la vita è immensamente illuminata. All’interno di questo mondo, c’è il giovane diciassettenne Alex D. del quale è narrata la storia attraverso un lungo e infinito flash-back. Una storia, quella del giovane protagonista, che è narrata da una voce onnisciente, che è a conoscenza dei fatti e delle vicende accadute al giovane Alex D. Un giovane che, dopo varie peripezie, riuscirà alla fine a consumare un’esistenza “anarchica” e oltre il “piccolo mondo facile” che i suoi genitori hanno creato attorno a sé. Punto vitale del romanzo brizziano è la storia d’amore platonica, fra il giovane Alex D. e Adelaide, che è una storia a sua volta colma di rimandi melodici, cinematografici, e sapienziali collocati all’interno di una scenografia composta da accadimenti giornalieri e quotidiani, dell’età dei protagonisti (scuola, ore d’aria amici, vacanze-studio, litigi genitori-figli). Una storia d’amore, quella fra Alex D. e Adelaide, che è consumata dai due ragazzi senza nessuna cornice precettistica, ma solo ed unicamente con un pungente sarcasmo studentesco. Un Alex D. che è in realtà un finto ragazzo vestito da hardcore boy, al tempo stesso però è un ragazzo coraggioso, millantatore, dolce, brumoso, e maledettamente punkettaro. Insomma per dirla in due parole, questo giovane protagonista è un ragazzo con un Io ben affermato, che però non riesce a imporsi universalmente ma solo ed unicamente prende vita sotto forma di schegge e frammenti; e che, inoltre, caratterizza la sua bassa e scandalosa spiritualità. Cosa ben diversa è invece Adelaide, che è rappresentata dal Brizzi come una ragazza borghese indossatrice di vestiti trasgressivi e follemente innamorata della letteratura zen. Un altro punto fondamentale all’interno del romanzo brizziano è composto dal suicidio di Martino (amico di Alex D.), che si è tolto la vita poiché scoperto come drogato; e questo suicidio apparirà agli occhi del suo miglior amico, come un gesto per l’affermazione totale della sua autonomia e della sua identità. L’unico lato oscuro dell’opera brizziana è rappresentato dalla famiglia di Alex D., che è rappresentata come una grave e pesante ombra antisociale, come una piatta e scialba realtà etico-umana, e come una autonoma creatura relegata ai confini del romanzo. Una rappresentazione famigliare quella del Brizzi, che è creata dall’autore come un forte atto di denuncia contro i protagonisti del ’68, che dopo aver abbandonato i valori e i principi rivoluzionari, si rintanarono nell’oscura e demoniaca intimità collettiva, che prende ancora oggi il nome di famiglia. Insomma per riassumere sulla figura del giovane Alex D., possiamo affermare che questo giovane desidera follemente scappare ed emarginarsi da tutto ciò che significa omologazione, per poi rinascere e vivere un’esistenza in nome dell’insicurezza, dell’ineguaglianza, dell’indifferenza, dell’assenza di valori programmati, e in nome dell’abnegazione del giudizio sociale. Concludo queste mie parole, trattando molto velocemente la struttura di questo romanzo. Opera costruita attraverso un dialogo ininterrotto, umoristico, e umile che usa registri epici e lessemi proventi dalla radio, dal cinema, e dai blog.

Il 1996 è l'anno del romanzo Bastogne che è ambientato in un preciso momento storico, ovvero la finale ed estrema offensiva nazista dopo lo sbarco in Normandia, nella città di Bastogne nel 1944. Romanzo che rappresenta un Resistenza all'incontrario, che è concepita dallo scrittore bolognese come un'immagine simbolica e “sacrale”, la quale secondo l'ottica dei nazisti doveva comunque essere compiuta anche quando si aveva ben a mente la consapevolezza di questo inutile tentativo di guerriglia, contro i liberatori dell'Italia. Un romanzo, quello del Brizzi, che ben delinea la selvaggità dei protagonisti e che è concepita dallo scrittore come un atto di denuncia contro la città in guerra e, allo stesso tempo, come una possibile e fattibile esistenza etica con la quale allontanarsi ed emarginarsi dalla crudeltà e dall'illogicità. Immagine fondamentale dell'intero romanzo è quella del gruppo, che è concepito dallo scrittore come un luogo sociale in cui si può trovare rifugio e protezione dall'uggia esistenziale, che è combattuta dal gruppo attraverso la follia omicida, il sesso selvaggio, e l'estrema violenza psico-fisica.

Il 1998 è l'anno del romanzo Tre ragazzi immaginari. Romanzo dalle tinte autobiografiche, in cui viene compiuta un'auto-analisi da parte dello scrittore sulla sua passata esistenza adolescenziale e sui suoi “peccati” eventualmente fatti, per ricavarne da tutto questo una nuova strada, per la nuova esistenza che si pone innanzi a lui. Autoanalisi divisa in due parte, in cui nella prima parte il Brizzi attuale rivive mentalmente il Brizzi del passato attraverso l'odio verso la scuola, la famiglia, i ragazzi “casa e chiesa”, e contro tutti quei ragazzi senza spina dorsale. Nella seconda parte invece, il Brizzi del passato vede già mentalmente il Brizzi attuale attraverso i fanciulleschi e selvaggi amori consumati nel 1994. Accanto a questi due Brizzi c'è un terzo Brizzi che è interamente del passato, il quale non è altro che lo spettro medesimo della sua fanciullezza e giovinezza. Insomma e per essere più chiari, questo romanzo rappresenta l'obbligatorio e inevitabile passaggio, dalla giovinezza all'età adulta.

Dal 1998 passiamo al 2001, ovvero, all'anno del romanzo L'altro nome del rock composto da un romanzo breve e otto racconti scritti a quattro mani, con l'amico e compaesano Lorenzo Marzaduri che dà voce ai crucci dei quarantenni, mentre invece il Brizzi da spazio e voce ai crucci della leva giovanile. Un romanzo che gli scrittori bolognesi costruiscono come si “costruisce” un vinile, ovvero le vicende al pari delle canzoni si legano insieme attraverso un fitto sistema di equivalenze logico-geometriche. Andando più nello specifico, quest'opera è un riflesso dell'Uomo e delle sue intense emozioni, delle sue lacrimanti nostalgie esistenziali, delle sue quotidiane guerriglie spirituali, delle sue intime cadute psico-fisiche, e delle sue sopravvivenze etico-morali alle emarginazioni, alle sofferenze, e agli avvilimenti. Tutto questo sempre però nel nome del rock, che è concepito dagli autori e più in particolare dal Brizzi, come uno strumento mutativo e contravventivo; e come unica via da percorrere, per raggiungere e approdare alla verità etica ed esistenziale.

Il 2003 è l'anno dell'ultimo capolavoro brizziano, ovvero il romanzo Razorama. Romanzo questo che nasce da esperienze personali fatte dal Brizzi medesimo, ovvero, i viaggi da lui compiuti in Africa nel 1999 e nel 2001. Personaggio principale dell’opera è Rodrigo, che è dislocato dal Brizzi all’interno del romanzo fra l’avidità dell’uomo occidentale e la magia della popolazione africana, ovvero ancora, fra la vita e la morte. Un uomo bianco, il Rodrigo, che ha volutamente voltato le spalle al suo paese per vivere nell’Africa e da essa, farsi curare attraverso i suoi sciamanici riti. Accanto a Rodrigo altri due personaggi seppur minori, bisogna ricordare, che sono Adriano e Mauro. Il primo è assai rispettoso della magica cultura africana, da lui concepita come l’unica cura in grado di curare tutti mali degli Uomini e del Mondo, mentre invece il secondo rimane attaccato alle tradizioni e conoscenze occidentali.

 

Stefano Bardi


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