Vi è troppa indifferenza, a Genova, verso la diffusione di droghe fra i giovani. Lo spaccio è combattuto dalle autorità in modo tattico, senza una strategia che possa tagliarne le radici. Tutti sanno dove la criminalità organizzata abbia i suoi centri di spaccio, ma gli interventi sono saltuari e le indagini, nonostante qualche arresto e sequestro, non intaccano in misura sensibile la diffusione di droghe. Informazione e cultura latitano: né sui media né a scuola i ragazzi ricevono informazioni sui pericoli causati dall’uso di droghe e non si vedono campagne di educazione a contrasto di questo fenomeno, che appare in grande crescita e riguarda principalmente minorenni e ragazzi fino a venticinque anni.
È tornata così in auge una sottocultura giovanile, plagiata da quello che si potrebbe definire “marketing mafioso”, che attribuisce all’uso di stupefacenti valori e simboli di ribellione, protesta, libertà. In questo clima, aumentano i casi di overdose fra adolescenti in città. Negli ultimi sei mesi, tre studentesse, fra i 16 e i 17 anni, hanno perso la vita così, mentre sette adolescenti sono stati salvati in extremis. Domenica scorsa due ragazze di 22 e 24 anni sono state ricoverate d’urgenza al Galliera per un’overdose da crack. Hanno rischiato di morire.
È vitale che istituzioni e società civile rompano l’indifferenza e si impegnino su due fronti. In primis, combattere la diffusione di stupefacenti, colpendo i vertici del crimine organizzato locale e non solo il piccolo spaccio. Quindi promuovendo strumenti educativi e culturali capaci di mettere in guardia i ragazzi dai rischi che corrono quando cercano la propria identità affidandosi a sostanze che erodono la loro volontà e li mettono in pericolo di vita.
Roberto Malini