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Antichi mestieri e nuove proposte/ Carla Nico 
Intervista di Maria Lanciotti per #MadeinRome
23 Ottobre 2017
 

 “Non trovo si dia abbastanza rilievo al valore dell’opera delle mani: all’unicità di quello che esce dalle mani di un artigiano. Sarebbe molto istruttivo per i ragazzi poter osservare più spesso dal vivo quello che avviene in un laboratorio”

 

 

Carla si firma Nico. Al maschile. Lei che rappresenta con la sua figura semplicemente perfetta la complessità della natura femminile nella più vasta accezione. Imbattersi in Carla Nico – mani piccole e piglio virile – è un’avventura emozionante irta d’incognite. Mentre sembra offrirsi, aprirti l’animo, ti attira e cattura nella sua sfera. Mutevole e costante nel suo continuo evolversi e rimanere tale. La Nico pittrice vuole le sue tele nude, senza cornice. Non mette limiti all’invadenza delle sue creazioni che nascono tutte da un unico ceppo: la Vita che genera vita, incessantemente. Le sue donne opulente e generose, ma con lo sguardo acuto e profondo, devoto e irriverente, spezzano quasi per incanto ogni precedente assolutismo per riaprire una partita che non tema lo scontro degli opposti. Imbattersi nell’arte di Carla Nico è un rischio assicurato: il tutto possibile e nessuna certezza, tranne la propria verità.

Nata a Roma, Carla Nico vive a Lanuvio – Castelli Romani – dal 1990.

 

Carla Nico pittrice apprezzata. Poi esplora – con altrettanta perizia e fantasia – altre forme d’arte che richiedono altra tecnica e manualità. Ci vuole parlare di questo passaggio e se e come si riflette sulla sua produzione artistica?

Io sono affascinata da sempre da ciò che di bello viene prodotto dalla mano umana: sartoria, mosaico, ebanisteria, ceramica... Vorrei avere mani forti e grandi e molte vite per apprendere tutto. Una passione che viene da lontano, connaturata con me, penso ci si nasca, non trovo altra spiegazione... Questo mi porta a giocare, letteralmente, con tutto ciò che è manipolabile e trasformabile: mi piace inventare un dolce, cucire un abito o decorare la ceramica. Addirittura recentemente ho scolpito delle testine per strumenti musicali.

 

Quindi un talento naturale e una vivacissima curiosità. Tutto come un gioco. E i suoi giochi di bambina?

Per la mia vita di bambina la compagnia costante era quella di colori, matite, pennarelli, pongo, das, ma anche ago e filo, uncinetto, collage, che mi hanno attirato e permesso di provare le mie piccole mani.

 

Quando inizia a dipingere su tela?

All'epoca del ginnasio, in uno studio ‘serio’, in cui eravamo solo in due sotto i quindici anni; e mi risulta che entrambi abbiamo continuato a coltivare la pittura anche da adulti. Sono rimasta in quell’atelier per dieci anni.

 

Pensa di aver ricevuto una buona formazione? Ricorda in particolare qualche suo insegnante?

I miei insegnanti avevano una pennellata corposa e colorista, hanno guidato senza prevaricare. Sono molto grata a quel periodo e ricordo loro con grande affetto: mi manca molto un ambiente dove si rifletta collettivamente su questioni artistiche e stilistiche tra persone che intraprendono percorsi simili e diversi nello stesso ambito. Lavorandosi a fianco. L’atelier era quello dei pittori Giovanni Crisostomo e Zeila Granata, siciliani entrambi... a Trastevere.

 

Altre esperienze?

Gli studi allo IED, Istituto Europeo di Design, che mi hanno arricchito delle tecniche e del gusto dell'arte applicata all'editoria e alla pubblicità, alla gestione degli spazi e l'attenzione al target; un utilissimo corso di oreficeria alla scuola d'arte di Tivoli nel 2006.

 

Fra tanti interessi la pittura occupa sempre il primo posto? continua a sperimentare nuove tecniche e modalità?

Alla pittura mi sono dedicata con amore per molti anni, ricercando eleganza di forme e armonie di colori ‘curativi’. Nel tempo ho scoperto di voler arricchire la superficie con rilievi ed ho ispessito le pennellate con la spatola e poi con l'aggiunta di impasti di carta.

 

Le sue fantastiche zucche di cartapesta…

La carta ha occupato e continua a occupare una porzione importante della mia produzione. Che non è molto abbondante, lavoro per puro amore e per necessità di pensiero. Gli impasti, in genere lasciati scabri e rugosi – rifinisco e alliscio raramente – hanno dato forma, oltre che ai pannelli/quadri, anche a maschere, vasi, pesci-vaso, ‘totem’ e candelieri, e alle mie adorate zucche, contenitori colorati nell’impasto e anche piuttosto grandi.

 

Che cosa ricerca nelle sue creazioni realizzate con elementi ‘semplici’ e di riciclo, come la carta?

Mi piace l'aspetto primitivo e povero di questi oggetti, la loro severità bonaria, il concetto del creare con il minimo, con l’essenziale, come con la matita, basica e meravigliosa. Questa ‘essenzialità’ degli oggetti di carta mi riporta a uno stadio quasi primitivo del plasmare: trovo gli oggetti una volta asciutti meravigliosamente imperfetti, e sempre unici. A loro in realtà affido una parte importante di quello che conta davvero del mio raccontare. Per esempio nella maestà silenziosa ed evocativa delle rotondità di una zucca – a questo ortaggio ho dedicato anche una poesia, Zucca: Opera d’arte seduta in orto… – o nella presenza ironica e un po' beffarda dei volti che compaiono su tanti vasi, come a spiare, a testimoniare, a sdrammatizzare. Sono lavori che assorbono tanto tempo e dedizione, ma che nascono dal nulla e che mi stupiscono ogni volta con la loro potenza, con le mille possibilità con cui posso sbizzarrirmi nell’inventare forme nuove.

Mi piace molto utilizzare impasti di carta già colorati oppure carte neutre come quella del pane, senza stuccare e colorare lo strato esterno. Ottengo così un effetto ancora più immediato e ‘frugale’.

 

Come nascono i suoi gioielli-scultura?

Per creare questi oggetti spesso mi sono servita di basi in plastilina, per modellare la quale ho un po' esagerato con lo sforzo sulle mani... e in seguito ai dolori che ne sono derivati mi sono applicata alla cera. Un modo per usare un materiale duttile e lavorare sulla tridimensionalità senza soffrire troppo. Di qui il gioiello-scultura a cera persa.

 

Dalla pittura alla scultura passando per le diverse tecniche espressive: stessa elaborazione tematica o diverse ispirazioni secondo i materiali che maneggia?

I temi che ho sempre amato li ho riportati in questo micromondo di metalli, con la stessa scabrosità che lascio alla cartapesta, senza limare le superfici; con lo stesso amore per la figura umana, la donna con il cesto in testa, i nunzi con le trombe, gli ibridi della mitologia, l’eleganza inconsapevole degli animali, ed in più la magia dei minerali, i capolavori delle ere geologiche e della Terra, la Madre che ho celebrato in tante tele: le gemme.

 

Carla, autrice della raccolta di poesie A piedi nudi di cui ha anche curato la grafica. Ci parli della sua poetica.

In tutti gli ambiti replico la necessità espressiva vitale per me, e la volontà di elaborare quello che dalla Terra stessa viene offerto, in gloria alla Vita, al dono dell'esistere e al miracolo della consapevolezza dell’umanità, origine della sua forza e del suo dolore esistenziale.

Con spirito contemplativo e tranquillizzante nelle forme femminili, generose e pacificanti. Sferzante ed esortativo in quelle maschili, dei Nunzi e delle maschere, in corsa, pieni di ardore, accompagnati da suoni. Ovunque una via di mezzo tra un gioco, una festa e una preghiera, come sono sempre state le celebrazioni umane. Nella prossima raccolta, già pronta, sperando di poterla pubblicare a breve, ci sono testi un po’ diversi: alcuni riflettono sulla difficile comunicazione fra uomo e donna, e i rispettivi universi... anche in forma di ‘canzone’ – titolo dell’opera “Canzoni prese al volo”, appunto – altri danno voce a chi non può parlare più. Senza tristezza, semplicemente dalla loro prospettiva.

 

Arte e artigianato: pensa ci sia una linea di confine fra le due attività o non siano piuttosto di reciproco supporto? Il suo parere sulla condizione di artisti e professionisti nel mondo contemporaneo?

Questa è sempre stata LA DOMANDA… Probabilmente solo disponendo di un misuratore di magia si riuscirebbe a decidere cosa lo sia.

Credo sia una combinazione d’invenzione, abilità, gusto e spirito evocativo, al servizio di una visione interiore. E probabilmente il momento creativo ed artistico vero è quello della progettazione. L’idea è il momento creativo ed artistico vero. Un attimo dopo interviene la tecnica, i materiali, i ritocchi per avvicinarsi a quell’idea.

Spesso opere di geni si sono serviti delle mani di esperti operai per la loro realizzazione. Viceversa, splendide pitture hanno immortalato personaggi e situazioni con dovizia di particolari magnificamente eseguiti, sete velluti ricami perle vasellame armi tendaggi... e la nostra ammirazione è tanto più grande quanto più fedelmente riproducono tali oggetti.

 

Qualche sua istanza – ma anche proposte e suggerimenti – per ridare vigore e sostenere questi campi in evidente sofferenza?

Non trovo si dia abbastanza rilievo al valore dell’opera delle mani: all’unicità di quello che esce dalle mani di un artigiano. Sarebbe molto istruttivo per i ragazzi poter osservare più spesso dal vivo quello che avviene in un laboratorio. Forse scoprirebbero passione per qualcosa che non sanno esista e riusciremmo a tramandare ancora antica sapienza.

Abbinare spazi moderni e lavori di una volta potrebbe essere un modo per avvicinare pubblico ed artigiani... farli ritrovare in posti inusuali, anche a rotazione. Ad esempio: una ricamatrice cui si potrebbe concedere uno spazio in un centro commerciale, potrebbe personalizzare una banale camicetta o pantalone o borsa eccetera. Un intarsiatore e un decoratore in un grande negozio di mobili... Ma soprattutto aprire mercati anche fuori dall'Italia, favorendo i contatti con imprenditori curiosi provenienti da culture distanti dalla nostra, ora così facilmente avvicinabili. Questo sarebbe facilitato dalla creazione di veri e propri centri dell’artigianato, dove raccogliere le produzioni più varie e più valide localmente e dove indirizzare visite ricreative ed istruttive.

Maria Lanciotti

(in #MadeinRome, 28 maggio 2017


 

 

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