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Duchamp, Magritte, Dalì. I Rivoluzionari del ‘900
20 Ottobre 2017
 

1916. Sui fronti europei gli uomini ormai cadono a migliaia, falciati dalle mitragliatrici, dalle granate, dai bombardamenti. Ed è col fragore d’una granata che a Zurigo, in quegli anni, scoppia il movimento Dada.

Cos’è Dada? Una parola trovata a caso inserendo un tagliacarte fra le pagine del Laurousse.

Scrive Jean Arp, uno dei maggiori scultori di questo movimento: «…Sono convinto che questa parola non ha alcuna importanza. Quello che a noi interessava era lo spirito dadaista, e noi eravamo tutti dadaisti prima dell’esistenza del Dadaismo».

Il Surrealismo, al contrario, nacque adulto. Gusti e atteggiamenti surrealisti sono rintracciabili infatti fin nell’arte simbolista. Con Dada, poi, vengono elaborati del Surrealismo anche gli ingredienti linguistici.

Sulla poetica surrealista è agevole scoprire l’influsso esercitato dall’intuizionismo bergsoniano: anche i surrealisti si proposero di esprimere l’essenza originaria dell’esistenza carpita nel suo flusso libero e inarrestabile, fuori del tempo e dello spazio.

L’arte è plagio o rivoluzione”, diceva già Paul Gaugin sul finire del XIX secolo. Ci sono voluti 50 anni perché questa fortunata idea dilagasse oltre i limiti della ricerca sul linguaggio, sfociando con Dada e Surrealisti in un’esperienza perturbante e totale.

Fino all’11 febbraio I rivoluzionari del ‘900” mette in scena a Bologna nella sede di Palazzo Albergati uno dei periodi più dirompenti di tutta la storia dell’arte, con nomi del calibro di Marcel Duchamp, Man Ray, Renè Magritte, Max Ernest, Francis Picabia, Kurt Schwitter, Salvator Dalì: il gotha dei due movimenti, completato dalla presenza del più “giovane” ma altrettanto eversivo Jackson Pollock.

Un salto mortale dell’immaginazione, una bomba innescata nel cuore dell’arte occidentale e pronta ad aprire varchi inattesi su altri mondi: dall’inconscio agli oggetti più prosaici del quotidiano, fino alle culture di paesi lontani.

In mostra 180 quadri, sculture, fotografie, collage, ready-made, più una serie di preziosi documenti, tutti provenienti dall’Israel Museum di Gerusalemme.

Tra i capolavori: Le Chateau de Pyrenees (1959) di Magritte, Surrealist Essay (1934) di Dalì, L.H.O.O.Q. (1919/1964) di Duchamp e Man Ray (1935) di Man Ray.

L’allestimento è realizzato dal grande architetto Oscar Tusques Blanca, che in omaggio all’evento ha ricostruito a Palazzo Albergati la celebre sala di Mae West di Dalì e l’istallazione 1,200 Sacks of Coal ideata da Duchamp per l’Exposition internationale du Surréalisme del 1938. L’esposizione è a cura di Adina Kamien-Kazhdan.

La mostra “Duchamp, Magritte, Dalì. I rivoluzionari del ‘900. Capolavori dall’Israel Museum di Gerusalemme” attraverso un percorso tematico, offre una visione completa di questo patrimonio avanguardistico passando in rassegna tutte le sue espressioni artistiche e i mezzi utilizzati tra cui la pittura, la scultura, l’assemblaggio, il fotomontaggio e il collage.

La mostra si divide in cinque sezioni:

Accostamenti sorprendenti;

Automatismo e subconscio;

Biomorfismo e metamorfosi;

Il paesaggio onirico.

Nella prima sezione l’uso di materiali e oggetti “trovati” nei collage, nei montaggi e negli oggetti dadaisti e surrealisti annulla il confine tra arte e vita. I frammenti del mondo quotidiano diventano parte di accostamenti sorprendenti in grado di sedurre, scioccare e disorientare l’osservatore. Grazie a questo processo di “ricollocazione” emerge il potenziale poetico dei materiali usati nella creazione di oggetti onirici che paiono tratti “dalle più recondite profondità della mente umana”.

Nella seconda sezione con il proposito di infondere nuova linfa alla poesia e alle arti visive attraverso l’uso di una creatività inedita, il surrealismo esplora gli aspetti più oscuri della mente: il sogno, la malattia mentale, l’inconscio. Scrittori e artisti sviluppano tecniche “automatiche” per eludere il controllo cosciente e accedere alla sorgente del subconscio. L’automatismo riflette la passione dei surrealisti per le nuove scoperte in ambito psichiatrico a cavallo tra Ottocento e Novecento: per loro l’automatismo costituisce l’equivalente visivo della libera associazione da Freud nella psicanalisi.

Nella terza sezione il Biomorfismo riflette la tendenza surrealista a proferire forme ambigue e organiche. Ѐ a questa predilezione che si deve la nascita di dipinti, sculture e rilievi ispirati all’acqua come pure a soggetti di anatomia, astronomia e botanica. Lavorando con stili diversi in un territorio ibrido tra l’arte figurativa e quella astratta, Jean (Hans) Arp e Yves Tanguy sviluppano un linguaggio che potremmo definire appunto “biomorfo”.

Negli anni venti il movimento è influenzato dall’uso che Picasso fa della metamorfosi, come testimoniano i soggetti e la tecnica dei quadri figurativi e le opere più astratte e automatiche di André Masson.

Mentre Max Ernest arriva alla conclusione che l’artista debba recuperare un’armonia mitica e spirituale con la natura che era andata perduta a causa del cristianesimo, del razionalismo e della tecnologia occidentale.

Nella Quarta sezione il tema del desiderio rappresenta per gli artisti e i poeti surrealisti un vasto territorio in cui sondare fantasie, paure e inibizioni inconsce.

L’intento di liberare il desiderio attraverso l’arte è legato all’ascesa dei regimi totalitari e allo scoppio delle due guerre mondiali: è infatti in questo contesto che la libido si trasforma in una forza rivoluzionaria, in uno strumento di ribellione contro la censura politica e sociale.

Il corpo femminile diviene protagonista di dipinti, manufatti, foto e collage surrealisti: idealizzato e mistificato o distrutto e frammentato è l’oggetto passivo di un atto di violenza.

Collage e montaggi diventano così i mezzi con cui dissezionare, ricomporre o sfigurare l’immagine femminile. Usando la donna come un oggetto per la proiezione di ansie e conflitti irrisolti, gli artisti – in particolare Hans Bellmer – analizzano gli aspetti oscuri del desiderio.

Nella quinta sezione, è messo a fuoco il potere inebriante e liberatorio dell’immaginazione e del sogno come concetto chiave per i surrealisti.

I loro paesaggi onirici evocano una sensazione di mistero, sfidando la nostra percezione della realtà attraverso l’accostamento di oggetti scollegati tra loro, spesso inseriti in paesaggi in cui tempo e spazio sono distorti. Come nei sogni, la memoria e lo spazio viaggiano su binari paralleli, permettendo alla realtà di mescolarsi con la fantasia.

 

Maria Paola Forlani


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