Lunedì 16 ottobre 2017 alle ore 17:45 presso la Sala del Munizioniere, situata all’interno di Palazzo Ducale (Genova), si è svolto l’evento “Una giornata particolare, dalla sabbia alla capitale. La gita scolastica di otto giovanissimi Wodaabe in Niger”, durante il quale è stato proiettato il film Lokkol 2. Viaggio a Niamey, a cura dell’antropologo di Medici Senza Frontiere Francesco Sincich.
Prima di procedere alla proiezione l’antropologo ha voluto dedicare alcuni minuti alla presentazione degli Wodaabe e del lavoro fatto negli anni con questa società tradizionale culminato con la realizzazione di una scuola primaria. Non a caso, il termine “lokkol” è una trasposizione dal francese “école” che significa, appunto, scuola. Inoltre ha voluto sottolineare quanto il ruolo della scuola fosse importante e significativo per una popolazione di pastori nomadi; l’edificio è l’unico presente all’interno della comunità Wodaabe, l’unico punto fermo per una popolazione spesso in movimento.
Lokkol 2 narra la continuazione di un progetto più ampio, iniziato diversi anni fa e culminato nel 2011 con la costruzione e la messa in funzione di una Scuola primaria a Banganà, un piccolo insediamento nel cuore del Niger. Infatti la prima pellicola Lokkol, uscita nel 2011, trattava proprio della nascita della scuola di Banganà che, nel corso degli anni, ha visto più che raddoppiare i suoi iscritti che, dai 18 del 2011, sono diventati 59 nel 2017. La proiezione oggetto dell’incontro vede protagoniste otto studentesse della scuola che si recano nella capitale, Niamey, accompagnate da due adulti.
È una gita scolastica molto lunga! Difatti, sono 800 i chilometri percorsi, 13 le ore di autobus e 3 le ore di pista che hanno dovuto affrontare prima di giungere a destinazione. Lokkol 2 racconta i 3 giorni a Niamey del gruppo, le loro emozioni, sensazioni e considerazioni. Centrale è il tema della scoperta, dello straniamento e shock culturale davanti al mondo moderno; ciò che è normale per un Occidentale come, ad esempio, il cinema, per loro non lo è, non lo conoscono, non lo hanno mai visto. Così interviene quello che antropologi culturali della scuola simbolica come Clifford Geertz (1973) e James Clifford (1986) hanno chiamato “io narrante” ovvero l’io del ricercatore, in questo caso dei personaggi della pellicola, che studia ed interpreta la realtà con nuovi occhi, nuovi simboli e cifre culturali. È l’“io esperienziale” che guida le giovani studentesse nelle visite al Centro culturale franco-nigerino “Jean Rouch” e al Museo nazionale, che le fa giocare e divertirsi in un rapporto duale tra la loro cultura e quella più occidentalizzata di Niamey generando riflessioni, critiche ma non desiderio di assimilazione.
Alla proiezione della pellicola sono seguite le relazioni degli studiosi coinvolti nella giornata, Giuliano Carlini, sociologo, e Nicoletta Varani, geografa.
Il sociologo, per descrivere l’esperienza della serata, si è soffermato su alcuni topoi classici per lo studio delle culture altre quali le riflessioni sul tempo che scorre diversamente per noi rispetto agli Wodaabe e sul rispetto per il diverso, la comprensione come punto di partenza pedagogico per il dialogo in una società sempre più multiculturale.
Nicoletta Varani, invece, ha iniziato il suo intervento fornendo uno spaccato del Niger dal punto di vista geografico mostrando come sia poco popolato e poco urbanizzato benché sia molto grande, circa 3 volte e mezzo l’Italia. In seguito ha spostato l’attenzione sugli Wodaabe e sul territorio dove vivono, prevalentemente desertico. Ma chi sono gli Wodaabe? Sono una popolazione di pastori nomadi di zebù, facente parte del gruppo etnico dei Fulani, diffuso in altri stati limitrofi come la Nigeria. In generale poco considerati dalla letteratura etnografica, sono conosciuti per la grande danza, la Yaake, praticata per 7 giorni e 7 notti durante le feste celebrate per la fine della transumanza. La fine della transumanza è un momento importante per diverse culture del mondo e, persino in Italia, viene ricordata da scritti di diversi antropologi; il più conosciuto di questi, Marco Aime, ha dedicato ben due monografie ai pastori del Piemonte.1
Pur aderendo alla religione musulmana, negli Wadaabe persiste un forte senso clanico e una dottrina morale molto particolare, sicuramente non riconducibile agli insegnamenti di Maometto. Infatti, alcune rigide norme comportamentali imporrebbero alla donna una sorta di comportamento moderato in pubblico, ma contemporaneamente viene tollerata una vita sessuale pre-matrimoniale e viene data loro la possibilità di sposarsi più di una volta, mentre gli uomini possono praticare la poligamia. Alcuni studi hanno dimostrato il collegamento tra il ruolo della donna e la sedentarietà mostrando come, nelle antiche società di cacciatori-raccoglitori le donne avessero un ruolo di guida, di divinità (la madre-terra) e praticassero la poliandria (avessero più mariti o amanti contemporaneamente).2
Questo retaggio culturale non usuale in Africa sub-sahariana e nel Sahel ha portato ad una progressiva emarginazione degli Wodaabe dalle altre etnie del Niger che considerano i pastori nomadi dannosi per i raccolti e, in più, dei “cattivi credenti” poiché non seguono in modo rigoroso gli insegnamenti del Profeta. Per quanto riguarda invece le rigide norme igieniche e comportamentali, esse derivano senza ombra di dubbio dalla pratica del nomadismo che impone uno stile di vita sobrio per poter sopravvivere diversi mesi con carenza di cibo e acqua. Gli Wodaabe si collocano a metà strada tra una “società fredda” e “una società calda”, parafrasando la celebre denominazione dell’antropologo francese Claude Lévi-Strauss (1952), il più importante esponente dello Strutturalismo, in quanto, pur avendo parzialmente superato una visione mitologica che riconduceva la causa degli eventi a fattori interni alla comunità, conservano tuttavia una visione immobile del tempo dove gli anni sono scanditi dalla transumanza e dalla vita di pastori.3
Successivamente ai relatori, dopo uno stimolante dibattito con il pubblico, ha preso la parola l’organizzatrice dell’evento, l’antropologa Maria Luisa Gutièrrez Ruis ricordando come gli incassi della vendita dei DVD del film saranno devoluti a una iniziativa di crowdfunding attivata dall’antropologo Francesco Sincich e finalizzata alla costruzione di una scuola in mattoni a Banganà, un primo grande passo per il riconoscimento da parte dell’autorità nigerina dell’importanza dell’istruzione per una tribù di allevatori nomadi come gli Wodaabe.
Enrico Bernardini
Bibliografia
Aime M., Allovio S, Viazzo P.P. (2001), Sapersi muovere. Pastori transumanti di Roaschia, Booklet, Milano.
Aime M. (2011), Rubare l'erba. Con i pastori lungo i sentieri della transumanza, Ponte alle Grazie, Firenze.
Clifford J., Marcus G.E. (1986), Scrivere le culture. Poetiche e politiche dell’etnografia, Meltemi, Milano.
Diamond, J. (2006), Armi, Acciaio, Malattie. Breve storia del mondo negli ultimi 1300 anni, Einaudi, Torino.
Geertz C. (1973), Interpretazione di culture, Il Mulino, Bologna, 1998.
Lévi-Strauss C. (1952), Razza e Storia, Einaudi, Torino, 2002.
Sitografia
Lokkol 2 fb
Ducale Newsletter
Mattoni per una scuola (produzionidalbasso)
TeTus Lab (DISFOR, Università degli Studi di Genova)
1 I testi che l’antropologo Marco Aime dedica al tema sono: Aime M., Allovio S, Viazzo P.P. (2001), Sapersi muovere. Pastori transumanti di Roaschia, Booklet, Milano e Aime M. (2011), Rubare l'erba. Con i pastori lungo i sentieri della transumanza, Ponte alle Grazie, Firenze.
2 Per un approfondimento si rimanda a Diamond, J. (2006), Armi, Acciaio, Malattie. Breve storia del mondo negli ultimi 1300 anni, Einaudi, Torino.
3 Per un approfondimento rimando a Lévi-Strauss C. (1952), Razza e Storia, Einaudi, Torino, 2002.