La pervasività della comunicazione è per certi versi strabordante: fotocamere, videocamere, telecamere occupano ormai tutti gli spazi, anche i più intrinseci e personali. A “maneggiare” questi strumenti sono spesso persone comuni, che sentono il bisogno di fotografare o filmare ogni luogo in cui si trovano o agiscono, per fissare quel particolare momento e non dimenticarlo, come se la coscienza avesse smarrito una sua dote fondamentale, la memoria. Ma sono soprattutto i professionisti della comunicazione globale a dettare legge; quelli pronti ad andare all'assalto, a riprendere tutto, a filmare chiunque e comunque, perché altrimenti non riuscirebbero a descrivere dei fatti, a raccontare una storia. “Oggi il pubblico vuole vedere tutto, pretende la vita e la morte in diretta”.
Ma chi l' ha detto? È solo un modo per vendere e guadagnare facile.
Siamo in un vortice dal quale è sempre più difficile non farsi risucchiare, ma dobbiamo rompere l'incantesimo e riprenderci l'intimità cui abbiamo diritto. Partiamo dal grande per arrivare al piccolo: se fossi il Papa (niente di meno!) proibirei alle televisioni di filmare all'interno dei luoghi di culto, a cominciare dalla Basilica di San Pietro, durante le funzioni religiose. L'incontro di una comunità di fedeli con il suo Dio, infatti, è qualcosa di profondamente intimo, che non dovrebbe essere turbato, e banalizzato, da “corpi estranei”. E che non solo una comunità religiosa ma anche una comunità politica, quando è riunita per discutere, e decidere, abbia bisogno di una sorta di intimità, sembra averlo capito anche un grande comunicatore come Matteo Renzi, che da qualche tempo riunisce la direzione del suo partito “a riflettori spenti”.
Ma tutti noi possiamo riavere quell'intimità che ci spetta se solo smettiamo di desiderare ciò che ci fa effetto e apriamo la mente e le braccia a ciò che ci fa stare bene.
Michele Tarabini