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Antichi mestieri e nuove proposte/ Carlo Di Camillo 
Intervista di Maria Lanciotti per #MadeinRome
02 Ottobre 2017
 

L’artigianato artistico
non è solo manualità
ma cultura, pensiero
e azione”

 

 

Carlo Di Camillo, nato a Città di Cagli nelle Marche in provincia di Pesaro/Urbino nel 1949, si trova catapultato bambino nell’area castellana dove risiede fino alla metà degli anni settanta, poi si trasferisce a Fiumicino (Roma) dove vive e lavora. Non è facile collocare il personaggio, poiché di un personaggio si tratta, versatile e fantasioso, in guerra con il tempo convenzionale con cui stenta a mettersi al passo, in perenne conflitto con la sua complessa personalità e le molteplici attitudini sempre in ebollizione. Collaborativo e attento a ogni sollecitazione, sia pure esterna, accoglie con piacere il nostro invito a ripercorrere le tappe fondanti della sua formazione, strettamente attinenti al campo lavorativo.

 

Carlo, come e quando inizia la sua esperienza di lavoro e in che in ambito?

Dopo gli studi obbligatori, all’età di diciotto anni, spesso dal mio paese prendevo il treno per recarmi alla Capitale. Facevo lunghe camminate senza meta per le vie e i vicoli del centro storico di Roma, alla ricerca di qualcosa che potesse appagare la mia curiosità. Ero affascinato da quelle vie impregnate di storia, mi beavo dei colori e degli odori che provenivano dalle botteghe artigiane.

 

Era attratto da qualche bottega in particolare?

In uno di quei pellegrinaggi mi capitò di fermarmi davanti ad una bottega, al cui interno c’era una serie di banconi con dei cannelli da cui uscivano fiammelle. Mentre mi domandavo a cosa potessero servire, si affacciò sulla soglia una persona cui posi la domanda e mi fu spiegato che si trattava di un laboratorio artigiano dove si realizzavano oggetti in metallo – ottone e rame – di vario tipo, come bigiotterie, parti metalliche per calzature, fibbie per cinture, ecc.

 

Una persona informata e ben disposta al dialogo: un acquirente?

Quella persona era il titolare della bottega. Vedendomi interessato chiese se ero in cerca di lavoro, e disse che per via dell’attività in espansione necessitava di mano d’opera ed era alla ricerca di giovani apprendisti. Dopo una settimana lavoravo nella bottega.

 

Di quali anni si parla?

Erano gli anni sessanta, precisamente il 1967. Il boom economico, il folleggiare delle mode. L’alta sartoria imponeva per le donne l’accessorio, la ‘parure’ come complemento dell’abito. Si realizzavano collane, orecchini, bracciali, spille, anelli e così via.

 

Dov’era situata la bottega, s’inserì facilmente nell’ambiente?

Eravamo una decina di giovani a lavorare in quella bottega, situata nel quartiere Monti in via del Boschetto. Il titolare, Ugo Dagianti, oltre ad essere un artigiano preparato, aveva la sensibilità di cogliere le attitudini di ognuno di noi e ciò ottimizzava il lavoro. Con me aveva capito che non poteva vincolarmi esclusivamente a un settore specifico ed era quasi ‘costretto’ a farmi cambiare periodicamente settore produttivo, per cui dopo circa quattro anni conoscevo e potevo mettere in pratica tutte le fasi lavorative della creazione e produzione. Quella fu per me la prima grande esperienza lavorativa, e quando sentii che non poteva darmi altro, ripresi a guardarmi in giro.

 

Una sorta di caccia all’occupazione ideale che desse slancio alla sua capacità creativa?

In un certo senso. Infatti fui rapito dalla grafica e fotografia, e in breve tempo mi trovai a collaborare con importanti Agenzie di Pubblicità.

 

Abbandonò per sempre l’arte del bijou?

No. Negli anni ottanta, in parallelo con la mia occupazione nelle Agenzie, ripresi quel lavoro di artigiano di bigiotteria assieme a mia moglie. Avevamo aperto un piccolo laboratorio al centro di Roma nelle vicinanze di piazza Fontanella Borghese, nel triangolo commerciale dove risiedevano le boutique e le grandi firme sartoriali, il salotto della moda: Piazza di Spagna, Via del Corso, Via Condotti, Via del Babbuino. Le nostre creazioni si trovavano esposte nelle vetrine della maggior parte delle boutique.

 

Quindi buone prospettive di sviluppo per la vostra attività…

Nel 1994 arrivò Tangentopoli che spazzò via il ceto medio e le tante attività commerciali e di conseguenza quelle artigianali.

 

Pensa che si possa sperare in una ripresa?

L’artigianato, soprattutto artistico, è stato da tempo relegato dai governi che si sono succeduti a un settore produttivo minore, mai incentivato per le nuove generazioni. In questi ultimi anni si è registrato qualche timido tentativo per il rilancio del nostro artigianato da parte delle istituzioni, ma con scarso successo.

 

Qualche suggerimento, come rappresentante della categoria formatosi sul campo?

Secondo la mia esperienza la prima cosa da fare è svincolare l’attività di artigiano artistico dal settore prettamente commerciale. Come si può pensare di equiparare l’artigiano al commerciante? Non viene presa in considerazione la tempistica e il valore aggiunto del lavoro dell’artigiano, rispetto a quello del commerciante che deve acquistare, etichettare, mettere sugli scaffale e vendere. Lo Stato deve dare alle piccole/medie botteghe artigiane la possibilità di assumere giovani apprendisti riducendo al minimo i contributi salariali e partecipare alla crescita della professionalità del giovane contribuendo con aiuti finanziari. La società non è solo fatta di bar e pizzerie. Occorre una crescita culturale e l’artigianato artistico è un settore che può contribuire in questo senso.

 

Esclusivamente in funzione di una crescita culturale?

L’artigianato artistico non è solo manualità ma cultura, pensiero e azione. È una grande possibilità di lavoro per i giovani, il posto fisso ormai appartiene al passato, è tempo di tirarsi su le maniche e rendersi responsabili del proprio destino. Oggi occorre abbinare l’esperienza del passato e le nuove tecnologie per produrre sempre al meglio e raggiungere nuovi mercati.

 

Tornando al caso specifico…

Creare bijoux con materiali ‘poveri’ è un atto creativo e tecnico, bisogna tener conto di tanti fattori estetici e pratici. Quando vedi una donna indossare una tua creazione, capisci quanto sei stato bravo. Le procedure e le fasi delle lavorazioni del bijou sono molto simili a quelle che fa l’orafo con i materiali nobili. Ma al contrario dei gioielli in oro, per cui devi tenere conto dei grammi, del numero e carati dei diamanti o delle pietre preziose, nel bijou non hai questi vincoli e puoi dare maggiore sfogo alla tua creatività.

 

Pensa di tornare a operare nel settore bijou e/o affini?

Non credo proprio, sia per l’età che per altri interessi; attualmente, nonostante abbia raggiunto l’età della pensione, collaboro ancora con una Azienda tipografica curando l’aspetto creativo e commerciale. Ma potrei eventualmente dare qualche suggerimento data l’esperienza acquisita. Poi, largo ai giovani.

 

Maria Lanciotti

(in #MadeinRome, 8 febbraio 2017)


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