Antonio Bennato
Un pugno di more
Il mio libro, 2017, pp. 256, € 18,00
Sembrerebbe un’offerta spontanea e umile, porgere un pugno di more a chiunque ne voglia gradire. Un’offerta che – si direbbe – non costa nulla, se non inoltrarsi nei boschi e sfidando la barriera di rovi cogliere i frutti più tumidi e neri, pungersi e sanguinare e tendere le mani ricolme. Ma il dono di Bennato ha un prezzo: per fruirne occorre calarsi interamente nel suo racconto, come in un roveto infuocato irto di dubbi e contraddizioni e di domande pressanti che esigono risposte risolutive. Una storia che ci perviene attraverso tormentati, appassionanti scambi epistolari tra un affermato professionista in combutta con se stesso e le sue precarie/false certezze e una giovane somala incaricata di tradurre per il suo Paese i messaggi della Madonna di Medjugorje. La collina delle apparizioni e le rocce del Krizevac, il monte della Croce, lo sfondo per un incontro di anime in lotta e in accostamento, un duello dialettico che ruota attorno all’apparente Assenza – invocata e respinta – evocata da una ‘nostalgia del bene’ di lontana e indelebile memoria che impone accettazione e rinuncia del sé individuale con le proprie conquiste e ambizioni per offrirsi, nudo e consenziente, al tocco ‘divorante’ del Divino.
Un romanzo strutturalmente complesso e tuttavia di scorrevole lettura per la grazia e fluidità di uno stile linguistico assolutamente originale, scabroso e levigatissimo a tratti, che inizia con un sogno carico di significati. E già nell’incipit si rileva l’estrosità dello scrittore che evitando di sbaragliare il lettore, ma reclamandolo quasi a testimone del suo percorso ostico e privilegiato e comunque ‘obbligato’, lo introduce quasi per mano nel suo stesso marasma per avvincerlo poi empaticamente alla sua straordinaria avventura umana e sublime che rispecchia l’inquietudine e il travaglio di ogni coscienza in fermento. «Da un festival di domande, sotto la direzione dei miei dubbi, è emerso il sogno. Credo proprio che me lo sia cercato da me. Poi, è bastata un’occhiata per capire che portava una risposta». Un lago immoto, un barcaiolo senza una gamba, lo Stampellato, che rema troppo lentamente; Paolo Gioben, avvocato di successo, che vorrebbe farsi vento per spingere vele assurdamente gonfie nell’aria ferma; gente in coda diretta verso qualcuno che si trova a prua, nascosto ancora alla vista; un trono di rocce che sembrano tratte da un luogo conosciuto e seduta sul trono una presenza amica che dispensa rosari. Ed è già iniziato il dialogo tra il Naufrago e Roblehla: «Nel momento in cui ti sto di fronte, i rosari sono finiti. Mi prende un dispiacere enorme. Assieme al tempo, penso, si perde sempre qualche altra cosa preziosa. Ma poi dalla tua bocca sgorga qualcosa che mi benedice: ‘A te lascio il mio cuore’». Una promessa che scatena un impegno totalizzante e dopo una “ressa di fiamme” finalmente il segno tanto atteso di “Un ritorno nella polvere”.
Un pugno di more di Antonio Bennato – già autore di I Santi li ho tirati giù dal cielo, La Capitana e Quo vadìsse, Pulecenè – conferma e ribadisce la portata di questo scrittore nato, che effettivamente emerge dal piattume dell’odierna offerta editoriale, tanto prolifica quanto logora. Da leggere e rileggere come opera umanistica e spirituale, e soprattutto espressiva, ricca di tesi da respingere o abbracciare o discutere, ma prima ancora da analizzare e riflettere con animo sgombero.
Maria Lanciotti