34. «Dammi la tua testa e cercherò di modificare quel che essa contiene».
La sibilla cumana era tornata dopo secoli in mezzo agli uomini per tentare di inserire in cervelli atrofizzati dal troppo grasso la sapienza perduta. Si accorse di trovarsi di fronte a un problema non facile da risolvere, l'architetto le aveva sì consegnato la testa ma si era addormentato senza minimamente interessarsi a quello che lei vi avrebbe trovato.
Aveva scelto un architetto come persona di “cultura” ma entro quel cranio esisteva una massa enorme di luoghi comuni, aveva tentato di suonare la sveglia col suo piede quasi divino ma il sonno dell'architetto era troppo profondo.
Aveva portato con sé anche la lira ma la musica non fa presa su chi non la sa ascoltare, era salita dal sud dell'Italia per incontrare i sedicenti “celti padani” che non la conoscevano: mai avrebbe pensato che le loro orecchie sapessero sentire solo i discorsi di chi vedeva nella separazione il metodo per aumentare il grasso nel loro corpo: se essi assegnano al tessuto adiposo il compito di essere base di ogni progresso è meglio lasciarli nel loro brodo. Prese la lira e se ne andò.
L'architetto padano parlava nel sonno, non si era nemmeno accorto che la sua testa se ne era andata con la sibilla. Essa avrebbe tentato entro il suo antro di parlare con dolcezza a quel cranio di gallo cisalpino cercando di fargli capire che forse era meglio scegliere un altro mestiere per evitare che il nord assumesse le sembianze di un luogo senza spiritualità. La testa del gallo padano continuò a dormire anche entro l'antro di Cuma.
Giuseppe Galimberti
Disegni per raccontare il pensiero di un'epoca
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