Ha cominciato il Nouvel Observatur nel Novembre del 1993 pubblicando i risultati di un sondaggio realizzato su un campione di millecinquecento francesi.
Questo campione – di persone che si dichiarano «di sinistra» – da un elenco di duecentodieci ha scelto queste tre: Rosso, Ribellione e Nudità.
Tra parole naturalmente; perché qui si parla di parole.
Secondo il campione, queste tre dovevano indicare il loro «comune sentire» più che tutte le altre. O meglio: il loro «comune sentirsi»; il loro «avvertirsi» come persone «di sinistra». Queste tre parole dovevano dunque sintetizzare (e significare) che cosa volesse dire per un francese «di sinistra» degli anni Novanta appunto: essere un francese di sinistra degli anni novanta.
Poi; ci si è messo Milan Kundera. Nel suo La lentezza a proposito di questo sondaggio Kundera osserva: «Ribellione e Rosso sono un'ovvietà. Ma che al di là di queste parole l'unica a far battere il cuore della gente di sinistra sia la nudità, che l'unico patrimonio simbolico comune sia ormai la nudità è stupefacente». Ed ancora: «È questo dunque il solo retaggio di duecento magnifici anni di storia, solennemente inaugurati dalla rivoluzione francese, è questo il retaggio di Robespierre, di Danton, di Jaures, di Rosa Luxemburg, di Aragon, di Che Guevara?». Già; è questo, dunque?
In Italia non essendoci stato un sondaggio analogo non possiamo dire – a parità di strumento di ricerca – quale sia la situazione. Un contributo, comunque, l'ha dato Antonella Fiori in un suo articolo apparso sull'Unità del 12 Giugno `95; articolo intitolato «C'è la Rivoluzione». La Fiori ha girato la domanda di Kundera ad alcuni scrittori, filosofi, poeti, pubblicitari ed intellettuali italiani e quello che ne è venuto fuori sono state le risposte più disparate.
Vista la grande disparità delle opinioni, la giornalista ne ha concluso che: «Non esiste un sentire comune della sinistra: dunque non esistono nemmeno le parole per definirlo». Conclusione che – lo diciamo subito – non ci sentiamo di condividere pur comprendendone la provocazione e in fin dei conti l'urgenza che riveste nel dibattito attuale. Le cose, in realtà, sono un po' meno semplicistiche di quanto questa conclusione lascerebbe supporre. Vediamo di orientarci un po'. Dall'analisi delle risposte degli intervistati emergono almeno tre linee di pensiero:
1. Linea Tradizionale
2. Linea di Ricerca
3. Opinioni più complesse.
Appartengono alla Linea Tradizionale le risposte riguardanti parole che – a ragion veduta – possiamo definire come «storiche» per quanto concerne la sinistra di ogni tempo e luogo. È una storicità che tali parole si sono veramente guadagnate sul campo in questi «duecento magnifici anni» come li chiama Kundera, in cui è esistita una posizione «politica» e «spirituale» convenzionalmente detta «di sinistra». Tra gli interpellati si possono ascrivere a questa linea anzitutto le opinioni di Antonio Tabucchi che cita addirittura «Liberté, Fraternité, Egalité», e aggiunge: «Non mi chiedete perché queste. Basta per capirlo leggere tutta la letteratura del settecento». Se scontata si può considerare la triade proposta da Tabucchi, altrettanto «tradizionale» appare la parola scelta da Lalla Romano per rispondere alla domanda. La Romano cita infatti Impegno anche se specifica: «Impegno per la giustizia». Notevole è l'osservazione con la quale chiude il suo intervento; maliziosamente difatti aggiunge: «Mi sarebbe più facile rispondere che cosa mi fa venire in mente la destra». E se Impegno – sia pure per la Giustizia – è una parola tradizionale, tradizionalissima è quella suggerita da Edoardo Sanguineti: Comunismo; parola che qualcuno ha detto oggi ricordano ancora solo tre persone al mondo: Fidel Castro, Bertinotti e Berlusconi. Dice Sanguineti: «Non me la sento di indicare parole che la sinistra possa giudicare come fondative di un lessico e di una visione comune. Posso dire le parole che mi piacerebbe che identificassero un sentire comune. La prima è senz'altro Comunismo, la parola più bella... la seconda è Rivoluzione, poi ancora Classe. La coscienza di classe è un punto essenziale per la sinistra». Alla fine però aggiunge: «Mi viene in mente che anche Proletariato è una parola importante, anche Compagni, ma non vorrei scendere nel patetico...».
Sicuramente alla prima linea si possono ascrivere quindi le considerazioni fatte da Sanguineti che cita praticamente tutto il vademecum lessicale dello «storico uomo di sinistra ». Non molto distante è il pensiero di Clara Sereni che parla di Revolution: «Ma non quella rivoluzione là – dice –, quella che avevamo pensato cinquant'anni fa. La rivoluzione come cambiamento radicale è un esigenza profonda. Ma non funzionano più le vie rivoluzionarie a cui abbiamo pensato in precedenza». Per cui in seconda battuta la Sereni sente di dovere correggere un po’ il tiro e precisa: «Deve essere una Rivoluzione Paziente. Se non cambiano le persone non si può fare niente. E allora può essere rivoluzionaria la legge sui tempi che cambia le condizioni di vita e dunque cambia le cose attraverso gesti a spettro ridotto in termini operativi ma con grande risonanza. Sarebbe un gesto, una identificazione concreta per qualche cosa che concreto non è. Non è un caso che l'abbiano prodotta le donne». Dietro la formula proposta c'è in realtà un concetto fortissimo: «Se ci fosse una banca in cui tutti mettono a disposizione il proprio tempo per la collettività – conclude la Sereni – cambierebbe anche la disponibilità all'ascolto».
Antonella Fiori – che come detto ha raccolto le risposte degli intervistati – in relazione a quella Rivoluzione (sia pure «paziente») auspicata dalla Sereni, si sente giustamente in dovere di chiederle: «Ma non è una riduzione di significato di una parola che ha un senso esplosivo?». «Prima pensavamo a un grande patatrac», spiega la Sereni, «ma non è questa la strada. La rivoluzione non è solo ribaltamento. Prima c'è il Nero e poi c'è il Rosso e così all'infinito. Crescere non fare il contrario di quello che ha fatto tuo padre».
Si è visto quindi come anche all'interno «della stessa linea di pensiero» in cui sono collocabili le parole menzionate, le «motivazioni» che hanno portato gli interpellati a scegliere proprio quei termini – indubbiamente «tradizionali» – sono state le più varie. Ad eccezione del caso di Tabucchi in generale non ci si è fermati al significato «antico» delle parole; pur avendo gli appartenenti a questa linea riproposto delle parole consuete per la sinistra, si è pensato ad un possibile uso diverso da quello con il quale fino ad ora erano state intese. Ovvero: sono le stesse parole di sempre che identificano il «comune sentire» della sinistra, solamente che oggi hanno un senso diverso, non vogliono più dire quello che volevano dire una volta. (Oggi che si è consumato il passaggio dal collettivo all'individuale sarebbe del resto veramente difficile applicare i vecchi termini con i significati anche di pochi decenni fa: chi sono i Proletari oggi? E i Compagni? Di che? In che? E le Classi dove stanno? Per non parlare della Rivoluzione: chi la farebbe? Perché?).
Alla «linea di ricerca» appartengono le opinioni riguardanti le «parole nuove», parole che per una ragione o per l'altra non sono state «centrali» nel linguaggio della sinistra.
Nei casi in questione non si tratta di termini che non hanno mai fatto parte del bagaglio concettuale dell'uomo di sinistra ma bensì di termini e concetti spesso presenti e più volte ricorrenti dentro esso e che sono stati però usati in maniera discontinua e non hanno quasi mai avuto una «posizione di primo piano» nel dizionario sinistrorso. Un esempio è la parola Fatica proposta da Stefano Benni. Parola certamente non estranea alla sinistra, ma che Benni intende adesso in modo nuovo.
«Non me la sento di trovare una parola che indichi un comune sentire della sinistra», dice per spiegare la sua scelta «non so che cosa sia questo comune sentire. A titolo personale la parola è questa: Fatica. Fatica quotidiana e non strategia politica, chiacchiere, slogan, sondaggio. Penso alla fatica come qualcosa di positivo, come un impegno quotidiano anche non riconosciuto. Fatica è una parola che in tv non c'è. Per questo mi piace».
«Parole nuove» (tranne una che è addirittura più «vecchia» di Comunismo) sono anche le tre proposte da Maurizio Maggiani. «Non conosco un sentire comune» dice «dov'è in Italia il luogo comune della sinistra? Non ce n'è nessuna riprova. Tuttavia nel sentirmi di sinistra penso alla Fecondità come capacità di creare, alla Speranzosità come certezza che questa storia non è l'ultima storia, ma soprattutto all' Utopia pensando che il gran finale non l'ha ancora sceneggiato nessuno». (L'Utopia; proprio lei, la cara «vecchia» Utopia; più vecchia di Comunismo, più vecchia di Proletariato: ecco una parola che non sentivamo più da molto tempo. E forse non la sentivamo più per un motivo ben preciso; perché non c'era più motivo che la sentissimo.
«Le utopie appaiono oggi assai più realizzabili di quanto non si credesse un tempo. E noi ci troviamo oggi davanti a una questione ben più angosciosa: come evitare la loro realizzazione definitiva?» scriveva Aldous Huxley citando Nicola Berdiaeff all'inizio del suo Mondo Nuovo. Già, forse Utopia è una parola che non sentivamo più da molto tempo perché oggi si è trasformata in un altra: Realtà.
Significati anche diversi dagli usuali per «parole nuove» e meno nuove fanno dunque parte di questa seconda linea. Parole che appaiono più legate a scelte personalissime (del resto confermate dagli stessi che le hanno indicate) che da un autentico «comune sentire». Per tale ragione appare difficile che tali parole possano avere un «futuro» che sia diffusione tra gli appartenenti alla sinistra; proposte e «sentite» da singoli avranno valore solo per essi se non rappresenteranno altro che essi.
Le parole che rappresenteranno il «comune sentire» di chi sta a sinistra dovranno appunto essere espressione di un «comune sentire» se non di tutti almeno della maggior parte degli interpellati.
Le opinioni di Benni e Maggiani rappresentano invece il loro e (fino a prova contraria) solo il loro «sentire»: se e quando saranno condivise da altri (dalla maggioranza?) potrà dirsi allora che rappresentano il «comune sentire» della sinistra. Della terza linea fanno parte, del contro, opinioni un po' più complesse delle precedenti. Sono quelle di Umberto Galimberti, Sandro Balsoni e Piergiorgio Bellocchio.
Galimberti lamenta una mancanza di parole, afferma: «Ci hanno rubato le parole. Non ci sono più le parole perché i contenuti sfuggono. E perché manca il soggetto, la sinistra. Alla sinistra oggi appartengono parole miserabili come Progresso, che io considero reazionaria, in quanto non è rifiutata neanche dalla destra. Ci sono poi parole della sinistra come Libertà di cui si è appropriata la destra, senza sapere che i liberti erano gli schiavi che si affrancavano, che libertà significa privilegio. Ormai si usano parole e non se ne conoscono i significati. Sembra che su questi universali siamo tutti d'accordo ma poi i significati mutano».
Galimberti a questo proposito cita la parola Uguaglianza: «Chi si dice contro l'uguaglianza? Il problema è che oggi le parole della sinistra non sono più parole della politica, ma della tecnica. Un esempio è la parola Programma , programmare, che ha sostituito Progetto, progettare. Nella parola programma c'è il senso che tutto debba funzionare. La politica avrebbe diritto al progetto, una parola che nel suo significato contiene anche il sogno, l'utopia». Verissimo è che oggi «si usano parole e non se ne conoscano i significati», quello che conta è parlare non quello che si dice, il rischio è la confusione, la normalizzazione: se tutti sono buoni, chi sono i buoni?
Questo è il pericolo maggiore che corre oggi la politica e la società in generale: l'appiattimento, l'eliminazione delle differenze: il dire «ma si, destra e sinistra hanno gli stessi programmi - parola che ha sapore assolutista, come ha sottolineato Galimberti e che quasi come un «campanello d'allarme» di quello che la politica potrebbe diventare si è insinuata nei discorsi di ogni «fazione» - dicono le stesse cose, anche le facce dei loro uomini sono quasi le stesse... a questo punto votare per l'una o per l'altra non fa alcuna differenza». A questo dobbiamo opporci, la normalizzazione è sicuramente il nemico numero uno sia della destra che della sinistra, che per esistere, per essere appunto «la destra» e «la sinistra» debbono coalizzarsi e lottare contro l'appiattimento.
Ma se ha ragione quando dice che oggi «Si usano parole e non se ne conoscono i significati», Galimberti sbaglia quando dice che «Le parole della sinistra non sono più parole della politica ma della tecnica». A questo si può facilmente opporre che non sono le parole della sinistra a non essere più della politica ma sono le parole stesse della politica a non essere più della politica. Il problema è globale. La sinistra ne è solo un aspetto: anche se è pur vero che per parte sua la sinistra non è stata certo capace di trovare e parlare un linguaggio autonomo e migliore di quello corrente.
Altra opinione abbastanza complessa è quella di Sandro Baldoni (autore della campagna del Manifesto dal titolo «La rivoluzione non russa»): «Le parole sono opinabili» afferma Baldoni «per alcuni una parola come rivoluzione è stata la vita, per altri è stata la morte. Credo che oggi il pericolo, per la sinistra, possa essere quello di uniformarsi a un credo univoco, senza sfumature. Essere di sinistra oggi evoca staticità delle cose. Non ci si può fermare a questo. Mi ricordo di uno slogan che avevamo fatto una volta. C’era uno scimmione con la scritta: Sinistra evoluzione di una specie. Ecco una parola mi sembra che possa essere Evoluzione, meno scontato di Rivoluzione. E poi direi Primavera e Stupore. È il momento in cui bisogna cercare strade nuove, andare a vela, timonare». Discutibile appare il giudizio di Baldoni specie quando dice che «Essere di sinistra oggi evoca staticità delle cose». Non è forse per l'eccessiva frammentazione che ha avuto in questi ultimi anni che la sinistra oggi si trova a dovere fare i conti con il suo stesso «essere sinistra»?
Lontana dalla monoliticità cui allude Baldoni, la sinistra continua ad essere – e con rinnovato vigore visti gli ultimi rivolgimenti sociali che hanno attraversato il nostro e non solo il nostro paese – sede privilegiata del confronto dialettico: nuovi temi nati dal mutamento delle circostanze hanno portato a nuove posizioni, a nuove polemiche, che in non pochi casi sono sfociate in veri e propri scontri. ( Si pensi a tutta la problematica sorta all'interno della sinistra sulle questioni ambientali, su quelle della giustizia, per non dire sul semplice discorso delle alleanze: Con chi? Con «quelli» mai? Con quegli altri «forse»?)
Da ultimo Baldoni propone delle parole (Evoluzione, Primavera, Stupore) che fanno senza dubbio parte di tutte quelle che si sono definite «parole nuove» per la sinistra; vale quindi, per questo motivo, tutto quanto è stato detto a proposito di quelle suggerite da Benni e Maggiani.
Chiude la serie delle opinioni più complesse ed articolate quella di Piergiorgio Bellocchio. Per Bellocchio non ha senso trovare le parole della sinistra. Infatti: «Piuttosto che denunciare parole svuotate di senso e rese equivoche dal cattivo uso o dalla storia e proporne di più vere ed efficaci - dice - vorrei suggerire il recupero di valori quali il Realismo ed il Senso Comune. Valori sempre trascurati dalla sinistra, difetto pagato con non poche sconfitte».
In questo senso, Bellocchio ha anche un suggerimento: «Proviamo un po’ a spogliarci dai paraocchi ideologici, a rinunciare alla retorica rassicurante e consolatoria di cui siamo foderati. Proviamo a tradurre i concetti in pensieri pratici. E' una specie di cura dimagrante. Quante frasi, quante pagine, sottoposte a questo esercizio, si rivelerebbero sciocchezze...».
La Fiori a questo punto insinua: «Un ritorno all'essenziale proverbio Parla come mangi o Scrivi come parli?». «Proprio» è la risposta di Bellocchio «Parla come mangi e Scrivi come parli erano considerate obiezioni reazionarie e chi le pronunciava spesso lo era effettivamente. Ma se impariamo a dircelo noi stessi, credo che possiamo trarne solo vantaggio».
Dal discorso di Bellocchio sembrano emergere tre argomenti: il «salto di livello» da discussione sulle «parole» a discussione sui «valori», il trasferimento alla praxis e la ricerca di un essenzialità del fare e del pensare.
Fuori del nostro contesto è la «discussione sui valori» e qui la si tralascerà. Di sfuggita osserveremo però che non c'è parola che non sia – quasi suo malgrado – legata ad un qualche «valore»: le virgolette mai come in questo caso sono d'obbligo, visto che con questo «valore» necessariamente legato ad ogni parola, non si intende un valore in senso classico (ciò che è vero, bello e buono, eccetera eccetera), ma soltanto: un qualche referente spirituale in qualsiasi senso inteso. Ad un simile referente nessuna «parola della politica» può rinunciare; per cui una discussione sulle parole non è mai completamente disgiunta da una discussione sui «valori» intesi nel senso suddetto: interrogarci sulle parole che rappresentano la sinistra oggi è quindi anche un interrogarci sui «valori» che le ispirano. Con questo non si vuole dimostrare l'inutilità del «salto di livello» prospettato da Bellocchio: una «discussione sui valori» è altrettanto interessante che una «discussione sulle parole»; si vuole invece far notare l'intima correlazione fra le due cose, e la loro consequenzialità quasi necessaria (se parlo di valori mi devo chiedere quali parole li esprimeranno, se parlo di parole mi devo chiedere quali valori le ispireranno).
Per quanto riguarda il «trasferimento alla praxis» del pari auspicato da Bellocchio, ovverosia: il «tradurre i concetti in pensieri pratici», questo è un discorso altamente condivisibile – e che si riallaccia a quelle che sono poi state le motivazioni più antiche dell' «essere» uomini di sinistra (lungi dal teorizzarla soltanto, la rivoluzione, Marx, la voleva fare). Questo discorso però deve essere visto nel contesto della realtà attuale, nella quale del resto si colloca di suo, avendo Bellocchio dato un consiglio per il presente.
Ora; la realtà attuale ha avuto in questi anni un vertiginoso cambiamento, tanto che – come sopra si è detto – l'abbiamo vista, fuori da ogni paradosso, diventare utopia: Tutti stanno bene, Tutti sono felici, Tutti possono fare Tutto, non ce li hanno forse raccontati così gli anni `80?
Dunque la realtà è diventata utopia, quindi sogno: ma cos' altro c'è da sognare quando si è già nel sogno?
Dentro il «Tutti acchiappano Tutto» che sono stati gli anni `80 – e che in parte hanno continuato ad essere gli anni ’90 e anche questi che stiamo vivendo – quale spazio poteva avere il ritorno alla «realtà pratica»? Posto che l'essere umano ricerca sempre e comunque il piacere e mai di sua volontà il dispiacere (Sigmund Freud - Principio del piacere), e che quindi l'uomo fra il rendersi conto della sua realtà (specie se è una realtà che non ama) ed il fantasticarne altre più allettanti sceglierà quasi sempre quest'ultima possibilità, il «trasferimento alla praxis» di cui parla Bellocchio in cosa si dovrebbe concretizzare?
Risposta: nel ricordare e nel ricordarci che probabilmente non Tutti stiamo bene, non Tutti siamo felici, non Tutti possiamo fare Tutto. A questo punto il nostro diventa un discorso di stretta utilità pratica; la domanda da porsi è: conviene?
Ed ancora: il re è nudo, siamo d'accordo, ma si rivestirà o cercherà di arrivare «nudo alla meta»?
E se si rivestirà con che cosa si rivestirà? Saranno gli stessi vestiti solamente adattati ai tempi nuovi o saranno dei vestiti diversi? E Diversi come? (Dubbio fra i dubbi: ma la sinistra ha davvero bisogno di «vestiti» di qualunque tipo essi siano? Il Re Nudo non può andare benissimo «alla meta» proprio in virtù della sua Nudità?)
Se Nudità fosse si da intendere come «essenzialità» ma nell'accezione di «resa dei conti»: allora bisogna dire che la sinistra i suoi non ha ancora finito di farli. Troppo vicino è quel passato, troppe cose sono tutt'ora rimaste com'erano. Cos'è dunque questa Nudità della sinistra? Questa «essenzialità»? Qual'è il retaggio di quei «duecento magnifici anni di storia»?
La parola che gli interpellati dal sondaggio del giornale francese hanno indicato come sintomatica del loro idem-sentire (del loro «sentirsi» persone di sinistra) è davvero illuminante. Mai come oggi la sinistra, le sinistre, sono state nude: ma Nudità non vuol dire sconfitta: mai come oggi la sinistra, le sinistre, non possono essere sconfitte. Una sconfitta della sinistra, sarebbe una sconfitta della democrazia, e della libertà. Nudità vuole dunque dire essenzialità: la sinistra deve ripartire dal suo nucleo più originario, dalla sua più profonda radice. Non «resa dei conti», ne «sconfitta»: Nudità è semplicemente essenzialità: è la riduzione all' essenziale. E l'essenziale è «ciò che una cosa non può non essere».
Ma cos'è questa traccia, questo principio, questo segno? Qual'è questa «cosa» che fa si che due persone (anche distanti fra loro sia geograficamente che – anche se il discorso potrebbe vieppiù complicarsi – storicamente) si riconoscano entrambe come due persone «di sinistra»? Esiste questa «qualità» della sinistra, questa «sinistritudine» che fa riconoscere fra loro le persone che ne siano pervase? Che cosa la sinistra non può non essere?
Norberto Bobbio ha individuato questa «qualità», quello che la sinistra «non può non essere», in un principio che è stato ispiratore di tutta la sinistra fin dalla sua origine storica all'indomani della rivoluzione francese: il principio di uguaglianza. «Per una persona di sinistra», scrive Bobbio, «gli uomini sono più uguali che disuguali».
Dunque, «essere» una persona di sinistra vuole dire: cercare di vedere in un proprio simile più le cose che si hanno in comune che quelle che ognuno ha in particolare. È una Nudità doppia. Nella Nudità intesa come «essenzialità» in cui oggi è raffigurabile la sinistra, si viene a scoprire anche una nudità come ideale, come «qualità» dell'essere di sinistra. Quello che accomuna gli uomini di sinistra di ogni parte del mondo e di ogni tempo; ma principalmente quelli di oggi vista la Nudità in cui si è venuta a trovare la sinistra, quello che accomuna questi uomini è la ricerca dell'uguaglianza. È il cercare di eliminare le differenze che potrebbero dividere, in favore delle somiglianze che accomunano. Questa è l'essenza, questa è la «qualità» della sinistra, questo la sinistra «non può non essere».
Ma: cerchiamo di approfondire questo concetto. Quando si cerca di vedere più quello che accomuna che quello che divide, che operazione si fa?
Ad una persona generalmente non piace Tutto di un altra persona. Ci sono aspetti della personalità dell'altro che daranno fastidio, urteranno per qualsivoglia motivo, non corrisponderanno - in tutto o in parte- a quelle che sono le proprie aspettative riguardo l’Altro. E naturalmente tutto questo varrà anche per l'altro nei confronti della persona in questione. Chi, dunque, cercherà di «eliminare le differenze che potrebbero dividere», dovrà compiere nei confronti dell'altro un operazione che avrà una caratteristica ben precisa: dovrà essere improntata al principio della tolleranza. Per cui l'uomo di sinistra, colui che «cerca di eliminare le differenze che potrebbero dividere», per essere davvero un uomo di sinistra dovrà essere tollerante. Ma non basta. Ed è proprio la tolleranza a non bastare. Perché se è vero che tollerare vuole dire «Ammettere, idee, convinzioni, opinioni contrarie alle proprie» o anche «sopportare con pazienza e senza lamentarsene cose spiacevoli», è pur vero che il difetto è proprio in quell'«ammettere» e in quel «sopportare». Questi due verbi, corrispondenti a due atteggiamenti ben precisi del comportamento umano, hanno entrambi in se il principio dell'inattività. Chi ammette e chi sopporta appunto ammette e sopporta: non è attivo, non ci mette niente di suo, non va verso l'altro: semplicemente, non si muove di fronte ad esso. Ecco perché la tolleranza non basta.
L'uomo di sinistra, l'uomo che cerca di «eliminare le differenze che potrebbero dividere», cercherà di farlo con tutte le sue forze, sarà attivo in questo suo agire, non si accontenterà di ammettere e sopportare: perché solamente in questo starà la differenza: solo questo lo qualificherà tout-court come un «uomo di sinistra». Infatti se si fermasse ad ammettere e sopportare l'altro non cercherebbe di «eliminare le differenze che possono dividere»; lo tollererebbe è vero, ma ne rimarrebbe sempre lontano. Anzi, la tolleranza potrebbe far germogliare (in lui) il suo esatto contrario: l'intolleranza (un prolungato ammettere e sopportare, uno stare fermo e acconsentire all'altro che dura nel tempo, molto facilmente sfianca una persona che comincia a chiedersi: ma chi me lo fa fare?). Ecco perché un atteggiamento di tolleranza, sia pure un primo passo, in virtù della sua staticità non può bastare ad un uomo di sinistra, ad un uomo che nell'Altro cerca più le cose che accomunano che quelle che dividono. Ed ecco perché si deve andare oltre la tolleranza. Verso quel «sentimento di fratellanza, di vicendevole aiuto, materiale e morale, esistente fra i membri di una società», verso la Solidarietà.
Ecco il concetto veramente fondamentale per la sinistra di ogni tempo e di ogni luogo, e che per quella di oggi assume una posizione di assoluto primo piano rispetto a qualsiasi altro. Ecco il minimo comune denominatore, la «qualità» presente in Tutti gli uomini di sinistra, il vero idem-sentire. La Solidarietà. Ecco la parola. Doppiamente nudi di fronte a questo specchio di inizio millennio quello che farà riconoscere nell'Altro un proprio «simile», un proprio «compagno» (Parola vecchia ? Se lo è: quale prenderà il suo posto?) sarà quest'unica idea, quest'unico agire: la Solidarietà. Nella Solidarietà al contrario che nella Tolleranza è compreso il principio dell'attività: chi è solidale non ammette e sopporta l'Altro; chi è solidale si muove. Ecco la parola, ed ecco l'idea.
Si, è vero, oggi il Re è Nudo. Ma la sua nudità non è oscena come crede Kundera, non è l'imbarbarimento e la volgarizzazione dei «duecento magnifici anni di storia» che – fra esaltanti vittorie e miserevoli sconfitte – si porta addosso. No. La Nudità del Re è la sua essenzialità. È la sua sostanza. E questa sostanza è un altra Nudità: quella di voler ricercare le «cose» che uniscono gli uomini, le cose che rendono gli uomini «uguali». In questa sua doppia Nudità, il Re però è in grado – adesso come non mai – di «essere quello che è»: appunto, un Re. Proprio recuperando quella che è la sua più intima essenza e ripartendo da essa il Re sarà si nudo ma se questo servirà a fargli recuperare la sua base ideale, il suo motivo più profondo, allora quella sua stessa Nudità di cui tanto si meraviglia Kundera sarà in effetti la sua carta di identità, il suo passaporto per il futuro.
Si è dunque visto, partendo dal sondaggio del Nouvel Observatur che indicava nelle parole Ribellione, Rosso e Nudità l'espressione del «comune sentire» la propria appartenenza alla «sinistra» dei cittadini francesi, che interpretando quella Nudità nel senso di «Liberazione da orpelli e ornamenti», ovvero nel senso di «essenzialità» si è potuti arrivare ad una seconda Nudità intesa come «qualità» che accomuna tutti «gli uomini di sinistra di ogni parte del mondo e di ogni tempo». Questa «qualità» si è dimostrato essere la solidarietà reciproca: ed a questo punto ritornando al punto da cui eravamo partiti abbiamo dunque proposto la parola Solidarietà come espressione di quel «comune sentire» la propria appartenenza alla sinistra ricercato dal giornale francese.
La parola Nudità è stata quindi importante. Non è stata buttata lì a caso dai francesi.
È stata significativa (del resto si sono scoperte due Nudità e come vedremo ce n'è anche una terza), è stata una parola rivelatrice.
Da tutto ciò possiamo concludere qualcosa di interessante. Nel corso della discussione abbiamo avuto modo di incontrare molte fra le parole della sinistra. Alcune venerande e popolari altre più «giovani» e inusuali, ma non è questo ciò che conta. Le parole di per se non sono nulla. È il loro senso quello che è importante.
Col mutare dei tempi accade anche che il senso delle parole (e delle cose) possa però cambiare, possa essere travisato o addirittura capovolto nel suo contrario. Altri possono fare proprie le stesse parole.
Una parola può non significare più niente («Aspetta, e vedrai tutto e il contrario di tutto» diceva Montaigne). I raggiri che si sono consumati usando le parole in un senso e intendendole in un altro sono innumerevoli. Per evitare nuovi inganni occorre a questo punto chiarezza.
Occorrono parole che significhino una cosa e solo quella. Parole «chiare» e «univoche» dunque, parole «inequivocabili». Parole nude. È una terza Nudità.
Le parole della sinistra dovranno essere spogliate dal fascino di interpretazioni, parafrasi e traduzioni che circonda tutte le parole della politica: nessuno dovrà poter dire «Avete detto una cosa e ora ne fate un altra». E Solidarietà dovrà essere una di queste parole. È una «parola della sinistra». Abbiamo visto in quale senso forte lo sia.
È la parola dalla quale ripartire.
Il suo significato non dovrà essere travisato; dovrà essere «chiaro» e «univoco»; dovrà essere «inequivocabile»: per questo gli uomini della sinistra dovranno vigilare. Dovranno vigilare affinché nessuno gli «rubi» le parole.
Affinché non trasformino le «parole della sinistra» in altre che la sinistra non avrebbe mai pronunciato, che in molti casi non avrebbe mai nemmeno pensato. Dovranno stare attenti agli illusionisti, agli incantatori di serpenti, ai «venditori di fumo».
A quegli inossidabili felini usciti direttamente dalle pagine di Tomasi di Lampedusa.
Gli uomini della sinistra dovranno stare attenti a coloro che prendono le parole, le rivoltano e le fanno diventare quello che non sono. Solo vigilando e stando attenti a chi suole fare giochi di parole la sinistra avrà a disposizione parole che saranno «sue». Perché nel guazzabuglio dei giochi di parole le parole sono di tutti e naturalmente di nessuno. Anche se a loro modo, in qualche maniera strana, i giochi di parole possono essere rivelatori.
Si è detto che la parola Nudità uscita chissà come da un sondaggio francese ci ha invece rivelato diverse cose: prima fra tutte la sua triplice attualità nel presente della sinistra. Del pari, anche i giochi di parole creati più o meno a caso, e a seconda delle circostanze, possono dirci cose diverse da quelle per le quali in origine erano stati concepiti. Se prendiamo ad esempio l'argomento della nostra discussione, ovvero: le parole della sinistra, e ne invertiamo semplicemente la prima e l'ultima parola otteniamo: la sinistra delle parole. Ma... qual'è la sinistra delle parole?
Risposta: È la loro parte iniziale. I giochi di parole possono essere rivelatori, è proprio vero. Infatti se prendiamo la «nostra» parola, la parola che, secondo quanto abbiamo dimostrato, rappresenta il «comune sentire» degli «uomini di sinistra di ogni parte del mondo e di ogni tempo» cioè appunto la parola Solidarietà, se la pigliamo e la sottoponiamo a questo giochino il risultato sarà sorprendente. Infatti, se non consideriamo più le parole della sinistra ma andiamo alla sinistra delle parole, dovremo prendere di ogni parola la sua parte iniziale: facciamo le prime quattro lettere và.
E nel caso di Solidarietà le prime quattro lettere sono proprio: Soli.
Eh sì, ecco un gioco di parole che è davvero rivelatore.
Esso ci ha rivelato quello che capiterà, che capiterà a Tutti, se gli uomini della sinistra non vigileranno, se lasceranno che gli si prendano le «loro» parole. Il senso delle loro parole. Capiterà che rimarremo sempre più Soli. Soli! Ma non è forse appunto contro questo che gli uomini della sinistra hanno sempre lottato?
Gianfranco Cordì