Si sa che l'allegoria collega a un'immagine, a un ambiente, ma anche a un seguito di eventi, un significato ben preciso, più generale, che li oltrepassa. Un esempio classico: la selva in cui Dante si smarrisce all'inizio del suo celebre poema, ci è stato spiegato, è allegoria del peccato.
Un film il cui impianto è interamente allegorico, è il film d'animazione, ispirato a una novella di Giambattista Basile, Gatta Cenerentola.
E infatti è evidente a ogni spettatore che la nave, sul porto di Napoli, in cui la storia si svolge, destinata nel passato a essere sede di un avveniristico Polo della Scienza e della Tecnologia; e poi, dopo l'uccisione del suo promotore – un armatore – a opera della malavita, divenuto luogo di traffico di droga, di un night club di quart'ordine che copre un giro di prostituzione; e scelta come centro di una nuova Las Vegas, tutta adibita al riciclaggio di denaro sporco; ebbene quella nave è evidentemente allegoria di due Napoli (o di due Italie): una Napoli generosa, idealistica, inventiva; e una Napoli, predominante, criminale, disperata, distruttiva e autodistruttiva.
I personaggi del racconto sono tutti definiti in primo luogo in base all'appartenenza all'una o all'altra Napoli.
La matrigna della favola, promessa sposa all'armatore, a cui in fondo voleva bene, ma anche poi, per un atavico disincanto, ha lasciato uccidere da un delinquente di cui è tuttora innamorata, incarna il cinismo. La voragine in cui precipita è quella della totale mancanza di ideali.
Le sue figlie (una delle quali, in effetti, è un travestito), sguaiate, sanguinarie, pronte a prostituirsi ai criminali, incarnano la corruzione. La loro sorellastra Cenerentola, traumatizzata dall'omicidio del padre, e per questo muta, apparentemente ebete, è l'innocenza impotente.
E un poliziotto, un tempo aiutante dell'armatore ucciso, e che ora ingaggia con la criminalità una lotta temeraria, quasi suicida – data la forza che la criminalità ha acquisito – è l'eroismo strenuo.
Gatta Cenerentola è un piccolo gioiello. Il disegno animato crea un continuo gioco di dissolvenze tra situazioni del presente e del passato, che serve a mettere in discussione lo status quo – come le cose sono effettivamente andate – alla luce di come sarebbero potute andare, suggerendo un'indicazione per il futuro.
Le figure dei personaggi non sono levigate e armoniose come quelle dei tradizionali disegni di Walt Disney; sono apparentemente grezze, angolose, si direbbe: di derivazione “cubista”. Forse perché la realtà a cui appartengono è tutt'altro che edulcorata, ma anzi dura, aspra. Ma anche se stilizzate, quelle figure evocano con precisione, con grande efficacia, ognuna delle maschere in cui i personaggi consistono.
Forse il limite del film è nello stesso impianto allegorico, che vincola il racconto a significati precisi ma anche semplici. Si ha a volte l'impressione che i disegni rianimino un repertorio di figure già depositate nella nostra memoria, piuttosto che farci esplorare un mondo inedito (o aspetti inediti di quel mondo).
Gianfranco Cercone
(Trascrizione della rubrica “Cinema e cinema”,
trasmessa da Radio Radicale il 23 settembre 2017)