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“Non chiudere gli occhi sui lager dei migranti”. Intervista a Emma Bonino 
“Il modello Minniti ci si ritorcerà contro. L'accordo rafforza le milizie libiche...”
(Francesco Fotia / AGF)
(Francesco Fotia / AGF) 
08 Settembre 2017
 

Riprendiamo, anche per offrire un’oc­ca­sio­ne di ulteriore diffusione, la bella e importante intervista rilasciata ieri da Emma Bonino a Umberto De Gio­van­nan­geli, giornalista esperto di Medio Oriente e Islam, per l’Huffington Post. (Red.)

 

 

«In Turchia, come Europa, ci siamo affidati a Erdogan, ora in Libia stiamo replicando in modo pericolosamente caricaturale quel modello, mettendoci nelle mani di milizie come quella di Sabratah. Per soldi, i trafficanti di ieri si spacciano per gli anti-trafficanti di oggi. No, il 'modello Minniti' non mi convince. Hanno messo un tappo ma neanche troppo stagnante e penso che questo modo di agire alla fine ci si ritorcerà contro. Sul piano politico, non mi pare che legittimare milizie e tribù rafforzi il già gracile governo di al-Serraj, semmai il contrario. In Libia l'Italia si è messa in un mare di guai. Nessuno può dirsi soddisfatto o gridare vittoria di fronte allo scempio di vite umane, agli abusi, alle violenze più atroci perpetrate nei lager libici. La lettura del rapporto di Medici senza Frontiere dovrebbe sollevare un moto di indignazione nell'opinione pubblica europea e di vergogna per i leader politici». A sostenerlo, con la consueta nettezza e passione politica è Emma Bonino, leader storica dei Radicali, già ministra degli Esteri e commissaria Ue. L'Huffington Post l'ha intervistata in occasione della presentazione del videospot a sostegno della campagna “Ero Straniero. L'umanità che fa bene”, la legge di iniziativa popolare per il superamento della Bossi-Fini, che ha i Radicali italiani tra i promotori.

Quanto all'altro tema caldo del momento, la legge sullo ius soli, Bonino rimarca: «L'affermazione del ministro Alfano secondo cui la legge è buona ma non è il momento di metterla ai voti è un segno, grave di impotenza politica».

 

Questa è stata l'estate del Mediterraneo e dell'Italia che col ministro Minniti ha “dato la linea” sul fronte migranti e nei rapporti con la Libia. La diminuzione degli sbarchi viene vista come un successo italiano. Come stanno le cose per Emma Bonino?

«Ciò che abbiamo fatto, in chiave bilaterale, è una ripetizione, un po' caricaturale, dell'accordo fatto con la Turchia, voluto dalla Germania che si è tirata dietro l'Europa...».

Perché un "po' caricaturale"?

«Per una serie di motivi. Il primo è che la Turchia, seppur non al meglio, anzi, ha uno Stato, un governo, un controllo del territorio, pure troppo se posso permettermi. Il secondo motivo, è che il contributo finanziario ad Ankara era notevole. La differenza in Libia è che si tratta di un Paese che non ha istituzioni credibili, è un Paese che ha due governi, due parlamenti e oltre 140 tra milizie e tribù in armi. Francamente non ho capito bene con chi abbiamo negoziato. È chiaro che lo abbiamo fatto con al-Serraj ma siccome è noto a tutti che al-Serraj non controlla il territorio, o direttamente o attraverso al-Serraj stesso, si è dovuto negoziare con le milizie, con gli scafisti, con quelli che effettivamente controllano il territorio e che vivono di traffici illegali di tutti i tipi: la benzina, le armi, gli esseri umani. Qui siamo di fronte a persone che appartenendo a una milizia possono occuparsi alternativamente di combattere i propri nemici, pattugliare il mare ed esercitare funzioni di polizia o di guardiacoste; oppure svolgere varie attività, anche illegali, per arricchirsi. Il risultato è che, di fatto, i trafficanti di ieri sono gli anti-trafficanti di oggi, una conversione in ventiquattr'ore. E già questo dimostra la fragilità di questa costruzione, tanto è vero che il ministro Minniti è dovuto andare dal generale Haftar (cfr. Corriere del Sera, 05/09/2017), l'uomo-forte della Cirenaica, il quale suppongo che voglia la sua parte. E poi c'è un fatto che reputo gravissimo e vergognoso...».

Qual è questo fatto?

«Noi facciamo finta di non conoscere la situazione dei campi di detenzione in Libia. Una situazione agghiacciante, un vero inferno documentato dall'ottimo servizio di Amedeo Ricucci per il Tg1 e dall'angosciante rapporto di Medici Senza Frontiere. Una situazione di totale spregio della dignità e della vita delle persone e di estrema gravità per le implicazioni e le conseguenze politiche possibili».

Il ministro Minniti ha affermato l'impegno italiano perché quei campi siano gestiti dall'Onu...

«Questa è una 'pillola' che non si può vendere, a meno che non si è in malafede. Perché sono campi di detenzione, perché la Libia non ha mai firmato le convenzioni di Ginevra sui rifugiati, perché sono centri di detenzione del governo. Altro che piena agibilità! Ma se l'inviato dell'Unhcr per la Libia abita a Tunisi, come tutti i diplomatici; autorizzato a qualche missione, più o meno lunga. A ciò si aggiunga che solamente 10 dei 30 centri ufficiali sono di tanto in tanto visitabili da un personale libico delle Nazioni Unite, gli altri 20 sono off limits. In più ci sono centinaia di carceri privati delle varie milizie che seguono la metodologia del narcotraffico: anche i narcotrafficanti nascondono la droga per poi rimetterla sul mercato quando il prezzo tende a salire.

Ci siamo messi, a mio avviso, in una situazione molto difficile e temo anche, come conseguenza politica, che invece di aiutare la formazione di un solido governo unitario – già difficile visti i diversi interessi degli attori esterni europei, in primis tra Francia e Italia – che noi rischiamo così di dare più forza alle milizie, in termini di credibilità, di interlocuzione, in termini finanziari.

No, non riesco proprio a tirare un sospiro di sollievo per ciò che l'Italia sta facendo in Libia. D'altra, parte l'avevo già detto in tempi non sospetti, alla Convenzione di Renzi al Lingotto, perché questa cosa la sentivo venire... In quella sede avevo detto che c'è qualcuno che ha lo stomaco di rimandare indietro le persone in quello che non io ma l'ambasciatore tedesco che era stato autorizzato a vedere qualcuno di quei centri, li ha definiti la cosa più vicina ai lager che lui avesse mai visto. Qui siamo: dal punto di vista della tutela dei diritti umani, ciò che si sta facendo in Libia è qualcosa di inguardabile e dal punto di vista politico, temo che complichi ulteriormente la situazione perché rafforza in termini monetari, oltre che di credibilità, le milizie varie. Al momento, peraltro, siamo pagando solo la milizia di Sabratah ma anche le altre batteranno cassa.

Per adesso, questo “tappo” sembra funzionare, ma non è poi così “stagno” come viene venduto alla gente, visto che già si manifestano i primi rivoli: ad esempio, i 251 di Ferragosto non uscivano da Sabratah, che è a Ovest di Tripoli, ma da Homs, che è un porto a Est di Tripoli. Poi si è aperta la rotta Algeria-Spagna-Sardegna... A me sembra davvero che ci siamo messi in un mare di guai, le cui conseguenze le vedremo, e penso anche se succede qualcosa, come si sta già scoprendo – vedi il rapporto di Msf – gli stupri, le torture sistematiche, le fosse comuni nel deserto, mi auguro che nessuno se ne esca, a livello politico o di comunicazione, col dire 'non sapevamo', perché questo sarebbe intollerabile».

 

Un altro tema caldissimo è quello della legge sullo ius soli. C'è chi minaccia marce su Roma e chi sostiene che non è il tempo per votarla. È davvero impossibile approvare lo ius soli entro questo fine legislatura?

«È una questione di numeri evidentemente. E in questo senso il più esplicito è stato Alfano quando ha sostenuto che si tratta di una legge buona ma inopportuna. Immagino che lui, e non solo, intenda 'inopportuna' elettoralmente parlando. Resta il fatto che si tratta di un'ammissione di impotenza politica che la dice lunga su cosa potrebbe voler dire un sistema proporzionale, con governi di coalizione in cui ci sarà sempre qualcuno, l'Angelino di turno, che lo 'ritiene giusto ma inopportuno'. Questi governi di coalizione li conosciamo dagli anni '80 e avevamo superato il proporzionale perché chi vince, col sistema maggioritario dei collegi, quale quello che noi propiniamo, possa assumersi la responsabilità, mentre nei governi di coalizione c'è sempre la via di fuga del 'vorrei ma non posso', 'mi mancavano tre voti'... Allora è bene che la gente sappia che quella sullo ius solis è una buona legge che, però, elettoralmente parlando una parte di chi l'ha scritta ritiene che non porta voti e allora meglio rimandare... Questa io la chiamo resa».

Il centrosinistra è destinato a perdere?

«Se gioca di rimessa, temo di sì. Molto dipenderà dalla legge elettorale. Io non sono mai stata, né lo sono oggi, una grande entusiasta di Macron ma gli devo riconoscere il merito di aver battuto la Le Pen. E lo ha potuto fare per la legge elettorale francese. Ed è così da anni. Al primo turno i Le Pen, prima il padre e poi la figlia, vanno sempre molto bene, ma al secondo turno la gente che si è sfogata ci ripensa un attimo. Questo per dire che il sistema elettorale non è un optional marginale. Noi siamo un Paese alquanto 'bizzarro', e questa semmai è la mia preoccupazione sulla sua tenuta democratica, non certo per una inesistente invasione di migranti: a pochi mesi dalle elezioni, non sai bene con che legge vai, la data, della serie chi c'è c'è chi non c'è si arrangi... Questo è un Paese che cambia legge elettorale ad ogni cambio di governo, perché chi sta in Parlamento e detiene la maggioranza si fa una legge ritagliata su se stesso. Noi rischiamo anche di avere due maggioranze diverse, una alla Camera e l'altra al Senato, e in più, non è solo la Commissione di Venezia (organo consultivo del Consiglio d'Europa, ndr Hp), ad affermare che quando si fanno le leggi elettorali bisogna avere almeno un anno prima di andare al voto, perché altrimenti tutta una serie di espressioni politiche non hanno il tempo materiale per entrare in lizza. E questo crea un altro bel pasticcio istituzionale. Spero che questo faccia riflettere tutti, perché le regole del gioco sono fondamentali per tenere su un sistema democratico realmente efficiente ed altrettanto rappresentativo».

 

Umberto De Giovannangeli

(da Huffington Post, 7 settembre 2017)


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