| Jacques Derrida |
09 Gennaio 2007
«Inizialmente e nella sua determinazione classica, la menzogna non è l’errore. Si può essere nell’errore, ci si può ingannare, è possibile anche dire il falso senza cercare di ingannare e quindi senza mentire. E’ vero che le esperienze della menzogna, dell’inganno e dell’ingannarsi si inscrivono tutte sotto le categorie dello pseudologico. Pseudos, in greco, può significare la menzogna così come la falsità, l’astuzia o l’errore, l’inganno, la frode così come l’invenzione poetica, moltiplicando i malintesi su ciò che un malinteso può voler dire» dichiara Jacques Derrida in questo «Breve storia della menzogna. Prolegomeni» (Alberto Castelvecchi Editore, 2005). Il volume in questione è costituito da alcune «riflessioni, originate da un seminario tenuto all’EHESS (Problemi di responsabilità, 1994-95)…(che) hanno assunto la forma abbreviata… (pubblicata qui) in veste di conferenza (Collége International de Philosophie, aprile 1997)». Siamo alla presenza di prolegomeni, dunque. Prolegomeni e cioè introduzione ad una storia della menzogna (sia pure «breve») che rimane ancora tutta da scrivere oppure ancora tutta da non scrivere per niente. Ed infatti Derrida, proprio alla fine di tutto questo suo discorso (ovvero: proprio quando questi prolegomeni dovrebbero aver preparato alla stesura di tale storia della menzogna) ammette invece che: «E’ necessario proprio confessarlo, affrontando la conclusione, nulla e nessuno potrà mai provare, appunto, ciò che si chiama in senso proprio provare, nel senso stretto del sapere, della dimostrazione teorica e del giudizio determinante, l’esistenza e la necessità di una simile storia in quanto storia, della menzogna, e della menzogna come tale». E tutto questo per un motivo. Perché la menzogna: «non può diventare un oggetto di sapere teorico». Ma in ogni caso Derrida riesce comunque ad assolvere il compito che ha davanti. Egli riesce comunque a circoscrivere il suo oggetto. E Derrida compie tale operazione chiamando in causa, l’uno dopo l’altro: Nietsche, Aristotele, Platone, Heidegger, Sant’Agostino, Montaigne, Freud, Rousseau, Kant, Koyrè ed Hanna Harendt (fra gli altri). Inoltre, Derrida compie tutta questa operazione riuscendo a segna(la)re altresì alcuni punti fermi che dovranno essere usati come vera e propria base di partenza per quella storia della menzogna che questi prolegomeni intendono solamente preparare. I punti fermi individuati da Derrida sono questi: «Nella sua figura prevalente e riconosciuta da tutti, la menzogna non è un fatto né uno stato, è un atto intenzionale, un mentire». Questo è il primo. Il secondo è: «La menzogna richiama probabilmente il sapere, tutto il sapere possibile, ma gli resta strutturalmente eterogenea». Il che tradotto in altri termini riporta direttamente alla citazione posta in apertura di questo articolo. Per Derrida, cioè, la menzogna appartiene alla categoria dello «pseudologico». Terzo ed ultimo punto è il seguente: «Si può dunque dire solamente quello che, al di là del sapere, potrebbe o dovrebbe essere la storia della menzogna - se ne esiste una». Questo sono le parole con le quali Jacques Derrida conclude queste sue «riflessioni»; le parole conclusive di questo suo volume. Per cui Derrida ha in realtà individuato nella menzogna un concetto del tutto metafisico. Un concetto, egli dice, appartenente allo «Pseudos». E questo prolegomeni ad una possibile storia di tale concetto non possono che (e proprio in virtù della metafisicità di questo concetto) confessare sia la propria parzialità che la propria completezza. Da una parte abbiamo appreso che una storia della menzogna può come pure non può essere possibile. Dall’altra parte, Derrida riesce comunque a tracciare in queste pagine il perimetro esatto di questa possibilità o impossibilità. Questo «Breve storia della menzogna», dunque, è un volume molto importante. E per due ordini di motivi. E’ importante sia ai fini di una conoscenza globale dell’opera del filosofo della «differanza» ma anche per la valutazione di quello che è soprattutto uno stile davvero inconfondibile. Che è lo stile di Derrida. Egli, anche in questo breve volume, si destreggia all’interno di tutta l’attrezzatura della filosofia e della parola con perizia e maestria. Perizia e maestria che, fra l’altro, oramai gli sono state riconosciute ampiamente da quasi tutti quegli storici della filosofia che si sono occupati di lui. |