Le diatribe su euro SÌ ed euro NO sembra che si siano attenuate, anche da parte dei più accesi sostenitori di un’uscita dalla moneta unica, anche se – probabilmente per poter giocare, come si dice, in più scarpe – questi ultimi continuano a non escludere il ricorso ad un referendum.
La politica, quella con la “p” minuscola, è fatta di questi elementi: enunciare alcune proprie opinioni e idee, presentandole come “sentimento diffuso” (la famosa “opinione pubblica”), ed evocare rimedi con metodi – popolari, per carità – inesistenti e impraticabili: il referendum, per l’appunto, che, stante l’attuale normativa, non può essere fatto in materia.
Questo per capire meglio il contesto in cui si svolge questo tipo di confronto. Che, sinceramente, con la mia limitata esperienza di osservatore e protagonista del quotidiano grazie ad un’associazione come Aduc, non mi è mai sembrato di percepire come ostile alla moneta unica. Anzi. Sarà il fatto che io -ed Aduc-, nella mia politica civica, non ho da vendere nulla, ma solo da offrire servizi, consigli e aiuti.
Quindi l’euro ha un valore e ci serve? E lo stanno capendo anche i più recalcitranti? Sembra di sì, ma andiamoci coi piedi di piombo e non molliamo nello spiegarci e spiegare come e perché sarebbe un disastro un’Italia senza euro. Quindi senza Unione Europea. Pur coi limiti, i difetti e tutto quello che dovrebbe servire per renderla ancora migliore, nella prospettiva – come sostengono i troppo pochi che in qualche modo la pensano come me – degli Stati Uniti d’Europa.
Esempi in merito ce ne sono a iosa. Nella economia e politica nazionale, in quelle comunitarie e in quelle internazionali. Qui ne facciamo alcuni con la logica della “borsa della spesa” del consumatore e utente, non precisi al centesimo, ma esplicativi del quotidiano.
In termini di cosiddetta macroeconomia cito soltanto la vicenda della sterlina britannica. Moneta sempre forte per definizione e fatti, su cui noi italiani abbiamo sempre avuto una certa sottomissione, tragica quando c’era la lira italiana, meno tragica da quando c’è l’euro. Da quando i britannici hanno deciso di uscire dalla Ue (Brexit) è successo che la sterlina ha quotidianamente perso valore rispetto all’euro. Nei listini ufficiali di cambio c’è ancora una certa differenza: mentre scriviamo il cambio è 1 sterlina = 0,92 euro. Solo qualche mese fa 1 sterlina era intorno a 0,75 euro. Nel quotidiano londinese, invece, ci risulta che la parità euro-sterlina sia nei fatti, e si osserva e percepisce anche quando si va in vacanza. Ve l’immaginate le performance che avrebbe fatto la lira se oggi l’Italia non facesse parte della zona euro? Cioè una valuta che avrebbe dovuto considerare solo la nostra economia nazionale nei confronti della Gran Bretagna, e non anche quelle -per esempio- francese, tedesca, olandese e belga?
In termini di cosiddetta microeconomia mi limito a descrivere alcune recenti esperienze internazionali di un consumatore e utente in vacanza, alle prese col quotidiano. Facciamo l’esempio del Giappone. È risaputo che sia un Paese molto costoso (soprattutto la capitale Tokyo), ma è un “risaputo” che, a nostro avviso, è incrostato sul passato, quando non c’era l’euro e la lira era la nostra moneta. Un passato che, come tutti i fenomeni culturali anche se collegati all’economia, ha bisogno di tempo per diventare solo storia. Per 1 euro, al cambio di oggi, ci vogliono circa 130 yen. Quindi per 1.000 yen ci vogliono 7,70 euro. Se si va oggi a Tokyo, con 1.000 yen ci si rende conto che si può comprare quello che da noi si compra con 10 euro. Qualcuno ha l’ardire di dire che potrebbe essere altrettanto se, a Tokyo, avessimo dovuto utilizzare la lira per fare le nostre operazioni di cambio e di acquisto e consumo?
Più articolato sarebbe il discorso nei confronti del dollaro Usa, che però ci porterebbe a risultati simili... ma lo faremo in un’altra occasione.
Ecco. Questo significa avere una moneta forte. L’euro: frutto di una mediazione tra le varie economie dei Paesi comunitari e della forza dell’economia comunitaria in sé. Ed è questo che ci consente, nell’esempio delle vacanze e non solo, di poter affrontare la nostra quotidianità con forza e certezze che, altrimenti, la nostra sola economia nazionale non sarebbe capace di darci.
Vincenzo Donvito, presidente Aduc