Appartengono ad anni remoti, i primi dopo la Liberazione. Erano tempi nei quali si discuteva sempre di tutto ovunque, a casa a scuola in viaggio a passeggio, anche per rifarsi del forzato silenzio censura e autocensura del periodo fascista, storico e repubblichino.
Le prime tenaci forti litigate furono sul voto alle donne. “Dobbiamo DARE il voto alle donne?” si chiedevano molti maschi, anche tra quelli che avevo conosciuto durante la Resistenza e che consideravano evidentemente “suffragio universale” quello di tutti gli elettori e nemmeno mezza elettrice. Inveivo quasi, li investivo con una sarcastica domanda: “Perché? il voto è tuo, che lo puoi dare qua e là?” La domanda giusta è “Ma quanto ci mettiamo a riconoscere alle donne il diritto di voto, che hanno?”
De Gasperi e Togliatti si dichiararono a favore del voto alle donne, a Togliatti non fu perdonato, perché si pensava, nell'opinione di sinistra, che il voto delle donne sarebbe stato manipolato dalla Dc e dalla Chiesa. Come poi pure avvenne, ma non la prima volta. Quando fu bandito il referendum monarchia/republica, contro ogni aspettativa avvenne che dalle donne vennero un milione di voti alla Repubblica, più che dagli uomini. Sicché se non abbiamo più i Savoia tra i piedi, lo si deve alle donne. Che evidentemente avevano su “Badoglio e il suo degno compare Vittorio” lo stesso disprezzo che esprime la canzone appunto citata. Le donne non perdonarono alla monarchia la viltà e l'ossequio verso il fascio e l'ultima tragedia dei due anni dopo l'8 settembre. Il seguito un'altra volta.
Lidia Menapace