Alcuni film usciti questa estate mi hanno già dato spunto per osservare, nello spazio di questa rubrica, come in fondo di rado la violenza e il crimine siano raccontati al cinema del tutto realisticamente: per l'incapacità, o anche: la non volontà, degli autori di immedesimarsi davvero nella mentalità di chi compie atti violenti e criminali.
Atomica bionda, un film americano diretto da David Leitch, interpretato, nel ruolo della protagonista, da Charlize Theron, tratto da un romanzo a fumetti di Anthony Johnston, è una riprova, più che di questa incapacità, in questo caso evidentemente proprio: di questa non volontà.
Piuttosto che di bande criminali, o della grande criminalità organizzata, Atomica bionda tratta dell'universo delle spie, in particolare quelle spie in azione in Europa, ai tempi della guerra fredda, alla fine degli anni Ottanta, poco prima della caduta del muro di Berlino.
Gli intrighi che regolano i loro rapporti sono improntati a quegli inganni, rozzi o raffinati, a quei doppi giochi, che innumerevoli film di spionaggio hanno già raccontato.
Ma la caratteristica che forse distingue Atomica bionda è la presenza preponderante della violenza nel racconto, insieme al modo di raffigurarla.
Le ragioni per cui una spia britannica può decidere di tradire il proprio paese e passare dalla parte dei comunisti; o le ragioni per cui questi ultimi, a Berlino Est, continuano a perseguitare i giovani che aspirano alle libertà dell'Occidente anche quando è ormai chiaro che il regime comunista sta crollando; ecco, quelle ragioni sono appena accennate, come se non meritassero attenzione. Il “fattore umano” nel racconto è quasi azzerato.
Ciò che davvero conta per l'autore sono i combattimenti, spesso a mani nude, grazie ai quali la bionda del titolo, che è una spia inglese inviata in missione a Berlino, mette al tappeto, uccide e a volte trucida, gli energumeni che i servizi segreti di Berlino Est, la Stasi, le mettono alle calcagna.
Sono combattimenti chiaramente inverosimili, combinazioni meccaniche di colpi e contraccolpi, certamente ben congegnate (l'autore del film è un ex-stuntman), ma così astratte, che l'orrore dei corpi tumefatti, straziati, è appena percettibile.
La violenza è sublimata in un estetismo, magari dozzinale, ma comunque: in una cura per la bellezza, che riguarda appunto le coreografie dei combattimenti, ma forse, prima di tutto, la presenza fisica, il volto della protagonista, dai lunghi capelli biondi e dagli occhiali neri che sembrano proprio dichiarare: “Io sono una spia”. Un volto che attraversa quasi intatto le tempeste di sangue che le si scatenano contro, segnato da un'espressione amara quando nei regolamenti di conti ci rimette la vita una persona che le è molto cara (una ragazza, una spia francese, con cui lei aveva avviato una relazione amorosa), ombrato in conclusione da qualche ecchimosi che però non deturpa davvero la sua bellezza.
È un estetismo che troverà probabilmente degli ammiratori.
Per quanto mi riguarda, preferisco personaggi che non siano soltanto belle maschere, ma che siano in carne ed ossa: il che, in arte, significa che abbiano pensieri, emozioni e sentimenti.
Gianfranco Cercone
(Trascrizione della puntata di “Cinema e cinema”
trasmessa da Radio Radicale il 19 agosto 2017
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