Nei primi decenni del XX secolo, i grecisti Parry e Lord studiarono gli interminabili poemi epici, cantati a memoria, dai cantastorie tradizionali dei Balcani, i guslari, scoprendovi fondamentali analogie strutturali con la scrittura dell’Iliade e dell’Odissea, tanto da definire la teoria di un’origine orale dei poemi omerici. Questa nuova teoria ha illuminato non solo la cosiddetta questione omerica, ma in generale tutti gli studi sulla Grecia arcaica, che, da allora, è stata compresa a partire dalla figura dell’aedo, che era una sorta di cantastorie itinerante ed anche un vero e proprio sacerdote della memoria.
La teoria dell’oralità ha consentito poi di comprendere meglio anche la polemica platonica a favore del Logos e contro il Mythos, che definisce la rivoluzione culturale della Grecia classica, in cui vengono stabiliti i parametri di fondo del pensiero occidentale.
Durante il medioevo, con il ritorno prepotente dell’oralità, il rapporto tra Mito e Storia si è espresso di nuovo negli spettacoli dei cantastorie, ed in particolare, oltre che con le storie di santi e briganti, soprattutto con i cicli epici francese e bretone, ovvero con le storie di Re Carlo Magno e i Paladini di Francia, e con quelle di Re Artù e i cavalieri della tavola rotonda; questi due cicli epici - che, in modo analogo a quanto fatto da Omero, trasformavano in mito fatti storici realmente accaduti - sono stati fondamentali nello sviluppo della cultura europea, penetrandone profondamente le tradizioni popolari, ed hanno giocato un ruolo molto importante anche nella formazione della letteratura in volgare, che ha segnato il passaggio dal medioevo all’umanesimo. Gli echi del mondo epico medioevale, specialmente riguardo alla cultura germanica, hanno avuto un ruolo non marginale anche nel pensiero romantico, e perfino nelle polemiche reazionarie che hanno portato alla formazione del pensiero nazista.
Nella cultura popolare europea, in ogni caso, la figura del cantastorie itinerante di piazza ha avuto costantemente, nei secoli, il proprio valore specifico: in un mondo in cui il popolo era in gran parte analfabeta, il cantastorie aveva la funzione di una sorta di telegiornale orale ambulante, portando di piazza in piazza le notizie di cronaca, trasfigurate attraverso la propria lettura emozionale ed iconica. Tale funzione sociale del cantastorie è rimasta viva e valida in Italia fino al recente dopoguerra, specialmente in Sicilia, estinguendosi verso la fine degli anni sessanta, all’epoca del folk revival, dei dischi e della televisione. In questo passaggio finale, hanno giocato un ruolo particolare le figure antitetiche degli ultimi due grandi cantastorie siciliani, Orazio Strano e Ciccio Busacca, mentre altre due grandi figure hanno saputo trasferire la poetica del cantastorie di strada dentro il mondo dei mass media, attraverso la nuova figura del cantautore: Matteo Salvatore e Domenico Modugno.
Dopodiché la figura del cantastorie è diventata folklore fine a se stesso, senza più una propria funzione sociale. Ma è destinata a rimanere tale?
La Storia cantata astrae gli avvenimenti dal flusso incessante del divenire e, con un decisivo scarto temporale, li rielabora proiettandoli sul piano a-storico del Mito: oggi questo vuol dire che il cantastorie può sottrarsi al continuo, angoscioso e frenetico bombardamento di notizie prodotto dalla comunicazione mass-mediale, per raccontare la drammaticità del nostro tempo con un fondamentale scarto di riflessione e di poesia, al di fuori di ogni urgenza indotta, consegnando la memoria degli avvenimenti di cronaca alle immutabili architetture simboliche del Mito, che forniscono chiavi di comprensione radicate nel tempo e negli archetipi dell’inconscio, inviolabili in quanto custodite dentro gli inviolabili forzieri del nostro mondo onirico. Lo sguardo del cantastorie sul nostro tempo difficile è potenzialmente uno sguardo alternativo, meditato, musicale, delicato, ironico e iconico, che può sicuramente esserci d’aiuto nella comprensione di chi siamo, nel guardare al caos aggressivo del mondo contemporaneo senza farci prendere dall’horror vacui che esso può facilmente generare, ma rimanendo a contatto con la nostra coscienza e con i valori che in essa sono depositati e radicati da tempo immemore.
Daniele Mutino