Una mobilitazione memorabile quella del 14 aprile 2012 che vide scendere in piazza ad Albano Laziale oltre tremila manifestanti, fra cui tanti esponenti dei Comitati locali e regionali solidali, e numerosi rappresentanti delle istituzioni dei comuni limitrofi – mentre brillava per assenza proprio il sindaco di Albano Nicola Marini – per chiedere a gran voce che si mettesse fine allo scempio ambientale che si stava attuando ovunque, e in particolare per bloccare la costruzione dell’inceneritore di Albano che sembrava imminente dopo che il ministro Clini aveva anticipato il via libera autorizzato dal Consiglio di Stato, con una sentenza che aveva sontuosamente glissato quanto negativamente espresso dal TAR del Lazio nel 2010.
Il momento era dunque cruciale per decidere le sorti di un territorio già ampiamente sfregiato dalla vecchia discarica di Roncigliano cui si aggiungeva la costruzione del settimo invaso, con l’inquinamento aria terra acqua alle stelle e nemmeno un accenno da nessuna parte per avviare la raccolta differenziata, e sempre con lo spettro del mostruoso inceneritore che poteva sorgere da un momento all’altro. A Roma e in Regione lo sapevano che aria tirava da queste parti, trascurando però il fatto che il Coordinamento No Inc, promotore della manifestazione, aveva sempre saputo gestire pacificamente e legittimamente ogni protesta e ogni azione legale, un comportamento fermo e irreprensibile che fa scuola e fa storia, che tante vittorie ha conseguito marciando sulla via della corretta informazione e del corretto procedere, senza permettere mai infiltrazioni strategiche e colpi di testa, senza cedere mai alle provocazioni di un sistema che punta al logoramento e all’inciampo nei tanti bastoni posti per intralciare il corso della giustizia.
A Roma e alla Regione lo sapevano che qui ai Castelli Romani la popolazione si stava scrollando l’inerzia di dosso, sollecitata dalle tante azioni a catena in difesa di un territorio già martoriato, e che si sarebbe opposta ad ulteriori attacchi, ma c’era di più: il Coordinamento No Inc chiedeva vivibilità per tutti, via e per sempre, qui e altrove, discariche e inceneritori e partire al trotto per una corretta gestione dei rifiuti. A Roma e alla Regione lo sapevano, che la stavano combinando grossa e qualcosa poteva andare storto nei grandi affari pianificati, e allora si erano premuniti. I fatti sono noti, anche se poco e niente divulgati all’epoca dalla stampa. Ma parlano video e foto che girano in rete e hanno documentato momenti di scontro fra celerini e manifestanti non propriamente alla pari.
Si legge sul comunicato del Coordinamento No Inc che annuncia gli esiti del processo – che si è concluso il 28 luglio presso il tribunale di Velletri con la piena assoluzione di tutti i manifestanti denunciati e del minorenne arrestato – sugli scontri e i risvolti di quella fatidica giornata e così si pone rispetto agli accadimenti:
«I fatti imputati si riferivano alla giornata di lotta e di piazza del 14 aprile 2012, quando migliaia di persone parteciparono ad una enorme manifestazione con corteo cittadino per le vie di Albano. La Questura di Roma aveva autorizzato dapprima solo fino a Piazza Pia ma sulla spinta della fiumana di gente presente, seduta stante furono costretti ad autorizzare fino alla conclusione normalmente adottata per i tanti cortei del coordinamento, ossia Piazza Mazzini. A quel punto la Questura di Roma pensò bene di caricare pesantemente quanti in quel momento si trovavano su via Olivella all’altezza di Villa Doria. Il momento era particolarmente delicato, dal momento che il Consiglio di Stato aveva annullato la sentenza del TAR che a sua volta annullava VIA, AIA e ordinanza di Marrazzo di avvio del cantiere, e inoltre da un mese circa era iniziata l’attività del secondo lotto del VII invaso della discarica. Sono passati più di cinque anni da quelle denunce, il coordinamento da dieci anni lotta e denuncia in varie forme tutte le devastazioni del territorio, dall’attività quarantennale della discarica – attualmente con tutte le problematiche post incendio – alla volontà di costruire un inceneritore di dimensioni spropositate in un tessuto densamente abitato, dalle centrali a biomasse-biogas altrettanto speculative e dannose alla mancanza di servizi primari di urbanizzazione come l’allaccio alla rete idrica e fognaria, che incidono pesantemente sulla salute e la qualità della vita e inquinano e asfissiano il territorio. I tentativi repressivi e di criminalizzazione della partecipazione popolare che in forma autorganizzata ha dato vita ad una sapiente e continua risposta è quindi rispedita al mittente, l’infondatezza e la pretestuosità delle accuse erano palesi. Continueremo a vigilare e a opporre una resistenza popolare ad ogni scempio ambientale che pensano di poterci imporre. I nostri territori non sono in vendita. Le lotte non si processano».
Maria Lanciotti