1. Si aprì la porta: il finimondo. L’assoluto sciabordare di schiamazzi e suoni d’altra dimensione passati a questa nostra non so da quale pertugio, non so come. Uno di loro, grassottello al punto giusto da dover (io) indietreggiare qualora avesse fatto (lui) cenno della pur minima sfida, mi viene incontro con strambo pennarello in mano:
− Prof. posso andare in bagno?
− Vai, − rispondo; al che, come per tacito accordo interstellare, mi si piombano davanti milletrecento dodicenni incontinenti. Sto quasi per svenire, chiedo dei sali alla bidella, rinvengo e richiudo, segnandomi di croce, la porta alle mie spalle.
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2. La giravolta delle bottigliette d’acqua, a seguito dello slancio atletico della mano, lo stacco, la caduta in verticale e la staticità sul banco, mi lasciarono di stucco.
La presentazione fu un affare internazionale: il mio nome alla lavagna un epitaffio su marmo.
La ragazza esile mi venne a salutare con un “ciao”. Risposi distaccato e attonito.
La lezione poteva avere inizio.
Riccardo Stravolto