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Maria Lanciotti. Frate Indovino, il nuovo assetto dell’ACI, il Gruppo del Pollaio 
Alla ricerca della spiritualità – 9
08 Luglio 2017
 

Per la prima volta vidi il mare. Un tuffo al cuore, una vertigine. “Non si può travasare il mare con un ditale”, e l’immenso mi travolse come un’ondata precipitosa. Era l’estate del 1956. Vestivo a lutto e avevo la mente bloccata. Quel giorno mi ustionai la pelle e mi rinfrescai l’anima. Qualcosa si rimise in moto, con fatica, con dolore, ma stavo risalendo dal limbo.

Non cercavo più l’Amore, ma l’amore. Quello da scoprire attraverso i sensi oltre che con il cuore. Era il tempo dei corteggiamenti, dei rossori e tremori improvvisi che mi portavano a nascondere la faccia tra le mani, inginocchiata in qualche angolo della chiesa vuota. La curiosità si scontrava con i tabù sprizzando sensi di colpa, il Decalogo si era ridotto al sesto comandamento, diventato l’ossessione di don Vittorino e la mia.

Già da piccole le suore ci avevano insegnato ad addormentarsi la sera con le mani giunte e il pensiero rivolto intensamente a dio alla madonna e ai santi, e fino ad un certo punto aveva funzionato ma ora il pensiero e le mani svolazzavano nel buio della stanza pungendo come insetti molesti.

Non sapevo a chi rivolgermi, l’insegnamento ricevuto parlava solo di divieti e quel poco che sapevo per aver sentito dire infittiva il mistero.

Alla fine mi decisi a scrivere a Frate Indovino che pareva sapere tutto di tutto, esponendogli la mia triste condizione di fanciulla cattolica in lotta con la tentazione e i “desideri della carne” che non sapevo come mortificare. Il buon frate mi rispose a stretto giro di posta e mi fornì la sua ricetta che non ricordo esattamente, ma parlava di ottimismo, fede in dio e qualche grammo di gioia. Pace e bene.

Io mi vedevo con un ragazzetto sedicenne che aveva la Lambretta e girava sempre dalle mie parti. Si chiamava Chico, orfano di padre come me. Un pomeriggio d’inverno, tutti incappottati, provammo a sentire ognuno il calore dell’altro ma subito arrivò la censura a bloccarci. Eravamo nei pressi della stazione ferroviaria e arrivò un addetto che minacciò di chiamare la Polizia accusandoci di “atti osceni in luogo pubblico”. Scappammo di corsa, Chico saltò sulla sua motoretta e scomparve scoppiettando, io – sempre correndo – mi voltai e vidi l’addetto ridere a crepapelle assieme ad alcuni colleghi.

Sempre più confusa, mi confidai con un giovane sacerdote che il sabato veniva dalla vicina diocesi per le confessioni. Non dissi gran che ma piansi come una fontana. E questo sacerdote mi dette l’assoluzione senza penitenza e poi in sacrestia mi consegnò un libro che, mi disse, non dovevo restituire e spiegava con illustrazioni e parole semplici l’anatomia umana e le funzioni degli organi riproduttivi maschili e femminili.

Lessi il libro di nascosto come una ladra, me lo rilessi più volte con sempre minore patema, lo riflettei e lo ragionai, e finalmente arrivai a pensare che il corpo umano non fosse una vergogna ma una meraviglia della Natura, e che l’unione fra uomo e donna fosse la cosa più naturale di questo mondo se compiuta con amore. E che nulla c’entrava la tentazione con i marasmi dell’animo, dibattuto fra ignoranza e mille contraddizioni.

Ma l’acquisto di una prima consapevolezza, per quanto minima, non mi tirò fuori dal caos ma anzi mi ci immerse ancora più a fondo. Combattuta più che mai fra quella che era la mia struttura morale, un blocco granitico stratificato, e un principio di discernimento oltre gli schemi imposti.

Non ce la potevo fare. Mi arresi, odiandomi per lo stato d’inerzia a cui m’abbandonai.

Pregavo ancora ma a modo mio: attaccando direttamente il cielo così lontano così perentorio.

 

Tralascio di parlare delle mie faccende private negli anni seguenti, basti dire che mi ritrovai – ancora minorenne senza diritto di voto, che allora si acquisiva a ventuno anni – sposa e madre cattolica e praticante com’era nel programma delle giovani italiane. Sorda a me stessa, tiravo vigorosamente la carretta senza permettermi dubbi e cedimenti che non sarei stata in grado di sostenere, martellata dai miei malesseri interiori e da una società che era partita al galoppo in quella che sembrava una prateria sconfinata.

Non frequentavo più la parrocchia – don Vittorino era stato sostituito da un altro parroco, don Romeo, e si diceva in giro che fosse uscito dalla Chiesa – ma la cappella di zona, allestita in un primo tempo in un garage, dove un sacerdote veniva a dire messa la domenica e nei giorni festivi. In quella dimensione ridotta e sobria mi pareva di ritrovare la presenza del divino e la rassicurante appartenenza alla comunità dei credenti. Ma bastava uscire fuori, al sole o alla pioggia, per riaffondare nelle acque chete e melmose dei miei dilemmi irrisolti, lontanissima dalla pace del Signore.

Cambiava la società e cambiava la Chiesa, che in linea con il Concilio Vaticano II – che si aprì l’11 ottobre 1962 con il discorso di papa Roncalli – rinunciando a proclamare altri dogmi e volendo interpretare i ‘segni dei tempi’ si provò a scendere dal pulpito e a reimmettersi fra gli uomini. Non ci andò tenero il ‘papa buono’ che riferendosi a quella parte del Clero avversa al Sinodo e al suo singolare messaggio, disse tra l’altro: “Nelle attuali condizioni della società umana essi non sono capaci di vedere altro che rovine e guai; vanno dicendo che i nostri tempi, se si confrontano con i secoli passati, risultano del tutto peggiori; e arrivano fino al punto di comportarsi come se non avessero nulla da imparare dalla storia, che è maestra di vita, e come se ai tempi dei precedenti Concili tutto procedesse felicemente quanto alla dottrina cristiana, alla morale, alla giusta libertà della Chiesa”. Mentre lasciò il segno nel cuore del mondo intero con le parole pronunciate a braccio durante la fiaccolata serale: “Date una carezza ai vostri bambini…”.

Già da tempo tirava maretta ai vertici dell’Azione Cattolica, e quando la presidenza passa a Vittorio Bachelet (che sarà assassinato nel 1980 dalle Brigate Rosse) l'AC rompe con la politica, si distacca in seguito da diverse sigle sportive e sindacali e riscopre – almeno nelle attestazioni – il suo mandato evangelico da spendere nel sociale e con la vicinanza al clero. Con un nuovo statuto taglia le precedenti suddivisioni – Gioventù Maschile, Gioventù Femminile, Unione Donne, Unione Uomini – che riduce ai due settori Giovani e Adulti, mentre le sezioni minori, dai 3 ai 14 anni – Fiamme Bianche, Rosse e Verdi per i ragazzi e Angioletti, Piccolissime e Beniamine per le bambine – vengono riunite nella sola struttura Azione Cattolica dei Ragazzi (ACR). Tutto ciò si ripercuote fin dall’inizio con un calo vertiginoso di consensi, si torna a parlare di milioni d’iscritti che però stavolta prendono il volo, disperdendosi in altre realtà associative fondate dai fuoriusciti dall’ACI.

Si stava inoltre attraversando il Sessantotto che richiamava nelle sue fila, con i tanti Movimenti che generava, una moltitudine di giovani in cerca di un’Idea nuova da servire, con tanti perigli d’affrontare per non ricadere nell’errore – ogni volta sempre più micidiale – di buttarsi in pasto ad altre scellerate ideologie.

Arrivano in quel periodo a Roma e dintorni i padri gesuiti della Compagnia di Gesù, l’antico ordine fondato da Ignazio di Loyola, più volte soppresso e ricostituito nel corso della storia, e s’insediano in diversi Comuni dei Castelli occupando appartamenti in affitto che adibiscono a luogo di culto dove accogliere i giovani per un nuovo modo di celebrare la messa. È il tempo delle chitarre e degli arrangiamenti, il tempo delle discussioni dichiarate aperte ma sempre con pregiudiziale e fini precisi, ma il richiamo funziona e mentre si svuotano le chiese si riempiono questi spazi organizzati proprio in funzione delle possibili ‘chiamate’.

Ciampino rispose con una pioggia di ‘vocazioni’ – maschili e femminili, talvolta anche fratello e sorella, chi aspirante prete e chi monaca – che raggiunse il culmine quando si costituì “Il Gruppo del Pollaio” curato soprattutto dal padre gesuita Armando Ceccarelli che metteva anima e corpo nell’osservare il mandato dell’ordine, che oltre al voto di totale obbedienza al papa prevede la missione educativa ovvero la formazione di nuove leve.

Tra Mariapoli permanenti e Movimenti in transito – tra cui attivissimi i Gen (Generazione Nuova) – e le parrocchie che intanto si erano moltiplicate e sparse per tutto il territorio e si contendevano anime e nomine, con un continuo spostamento di preti che appena attecchivano venivano trapiantati altrove per lasciare terreno libero ad altre opportune supremazie, i poveri cristiani non sapendo più a che santo votarsi restavano a mezz’aria, servendosi di tutti i sacramenti e liturgie ma senza impegno, nel rispetto della tradizione.

Fu allora che riesplose il mio problema personale, rimettendomi in carreggiata per un estremo tentativo di conciliazione o di rottura definitiva con il cattolicesimo.

 

Maria Lanciotti

 

 

Alla ricerca della spiritualità

9 (segue)


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