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Napoli. I giovani del Rione Sanità 
di Anna Lanzetta
26 Giugno 2017
 

La Sanità è un quartiere che, grazie ai giovani, sta riscoprendo le proprie origini, per allontanare da sé una nomea negativa che per troppo tempo l’ha segnato. La Chiesa è diventata il cardine di questo progetto non facile ma possibile vista la volontà e la passione con cui i giovani lavorano con competenza e responsabilità. La rinascita del Rione si deve infatti alla tenacia di un sacerdote che ha saputo circondarsi di giovani, la forza migliore del territorio. Padre Loffredo, nel libro Noi del Rione Sanità, racconta la volontà dei ragazzi che lo hanno seguito, ne elogia l’impegno ed è convinto che per riuscire nel progetto bisogna allontanare i figli dai malavitosi e creare un modello socio-economico alternativo a quello fondato sull’illegalità. I giovani che si sono organizzati in “cooperative”, tra cui “La Paranza”, forti della propria volontà e armati di cultura, loro strumento fondamentale, si impegnano nella riscoperta e valorizzazione dei tesori del proprio quartiere, per lungo tempo dimenticati. È grazie alla volontà di questi giovani e al loro impegno che il Rione si arricchisce sempre di nuove energie, diventando un centro di aggregazione per molti ragazzi, motivati ai diversi progetti, mirati al recupero, alla formazione, alla valorizzazione della cultura, strumenti capaci di combattere la dispersione scolastica, per un futuro diverso dal presente.

È bellissimo vedere con quanto amore e con quanta passione i giovani lavorano, coinvolgendo con perizia i visitatori con visite guidate a luoghi per lunghi periodi abbandonati anche per le frane di fango che li avevano interamente ricoperti. Sono così ritornati alla luce luoghi dimenticati come le “Catacombe di San Gennaro”, antiche sepolture dei primi cristiani napoletani e dei vescovi della città e le “Catacombe di San Gaudioso”, in cui sono visibili rituali macabri e misteriosi che si dice ispirassero Totò per scrivere 'A Livella. Nei cunicoli delle catacombe è infatti collocato un affresco di Giovanni Balducci raffigurante uno scheletro, che simboleggia la natura effimera della ricchezza che cessa di avere senso di fronte alla morte. Spazi enormi che occupano il sottosuolo delle chiese e ci riportano indietro ad una storia antica e affascinante che tra scheletri e colature, danno un’immagine palpabile di una realtà per troppo tempo ignorata ma affascinante dove spesso si sono mescolate realtà e fantasia.

Grazie all’impegno di Padre Loffredo, dei giovani e delle associazioni di volontariato, culturali e sociali che si sono costituite in Rete, si stanno creando le premesse per organizzare condizioni di vita diverse con l’acquisizione del senso civico e della legalità.

 

Ogni luogo parla dello spirito napoletano come “Il Cimitero delle Fontanelle” -‘O camposanto de’ Funtanelle- situato in via Fontanelle. Un luogo di forte attrazione che custodisce una parte di storia fatta di dedizione e semplicità. Occupa enormi cavità tufacee e tra il sacro e il profano, riti e credenze, descrive il sentimento di pietà che il popolo napoletano ha sempre nutrito. Ospita i resti di chi non poteva permettersi una degna sepoltura, le vittime della grande peste del 1656, morti di altre epoche come quelli del colera del 1836 e di altre epidemie che hanno più volte colpito la città e nel tempo le ossa provenienti dalle cosiddette “terresante”, sepolture ipogee delle chiese che furono bonificate dopo l'arrivo dei francesi di Gioacchino Murat e quelle provenienti da altri scavi. Enorme è il numero di crani e di ossa che raccoglie, risalenti a varie epoche e le molte leggende che vi si raccontano, danno vita al connubio tra il mondo dei vivi e quello dei morti, attraverso il sogno, come l’abitudine di adottare una “capuzzella” ossia un’anima “pezzentella”, un cranio che in cambio di sistemazione prometteva protezione. A chi si meravigliava un tempo di tali credenze, così si rivolgeva Matilde Serao: «Questo guazzabuglio di fede e di errore, di misticismo e di sensualità, questo culto esterno così pagano, questa idolatria, vi spaventano? Vi dolete di queste cose, degne dei selvaggi? E chi ha fatto nulla per la coscienza del popolo napoletano? Quali ammaestramenti, quali parole, quali esempi, si è pensato di dare a questa gente così espansiva, così facile a conquidere, così naturalmente entusiasta? In verità, dalla miseria profonda della sua vita reale, essa non ha avuto altro conforto che nelle illusioni della propria fantasia: e altro rifugio che in Dio».

Un luogo dove magia e mistero si mescolano per racconti apparentemente inverosimili ma che sono parte integrante di un popolo legato a valori ancestrali e a una religiosità palpabile testimoniata anche dai molti tabernacoli che si trovano in vari punti del rione.

 

La storia del quartiere si legge e si costruisce attraverso le targhe, i luoghi, i simboli che ricordano personaggi illustri che un tempo lo popolavano: il principe della risata, Totò, nacque al 109 di via Santa Maria Antesaecula: «Sono nato nel Rione Sanità, il più famoso di Napoli», così diceva, e qui visse fino all'età di 24 anni, quando si trasferì a Roma con la famiglia. Grande cuore il suo, legato al territorio e all’indigenza degli abitanti, di notte usava, accompagnato dal suo autista, lasciare dei soldi sotto le porte delle famiglie più bisognose. La casa oggi appartiene a privati ma il luogo, benché spoglio, ricordando il grande Totò (che meriterebbe ben altro), suscita emozioni. In via Santa Teresa degli Scalzi, al 12, nacque Bernardo Celentano, pittore del XIX secolo e una lapide lo ricorda.

Il Rione Sanità è ricordato dal cinema, dal teatro, dalla canzone. Eduardo de Filippo vi ambientò alcune delle sue commedie più famose: Il sindaco del Rione Sanità e Il cilindro. Vittorio de Sica girò qui L’oro di Napoli e qui girò una delle scene indimenticabili di Ieri oggi e domani dove si vede una Sophia Loren col pancione che percorre al contrario la Salita Cinesi. Salvatore di Giacomo fu ispirato dal codice d’onore che vigeva nei vicoli del Rione, quando scrisse Lo sfregio, storia di una donna che protegge il suo protettore-fidanzato camorrista che l’ha sfregiata con il rasoio: «Ha tagliata la faccia a Peppenella/ Gennariello de la Sanità;/ che rasulata! Mo la puverella/ mo proprio è stata a farse mmedecà./ Pò ll’hanno misa ‘int’ a na carruzzella,/ è ghiuta a ll’Ispezzione a dichiarà,/ e ‘o delicato, don Ciccio Pacella,/ ll’ha ditto: -Iammo! Dì la verità./ Ch’è stato, nu rasulo, nu curtiello?/ Giura primma, llà sta nu crucefisso/ (e s’ha tuccato mpont’a lu cappiello)./ Dì, nun t’ammenacciava spisso spisso?/ Chi? – rispuost’essa – Chi? Gennariello!/ No!… V’o giuro, signò! Nun è stat’isso!» Il ponte, che sovrastando il rione Sanità, consente l’accesso al centro della città è stato intitolato a Maddalena Cerasuolo detta Lenuccia, perché lo salvò dalla rovina delle mine naziste durante le “Quattro giornate di Napoli”. Libero Bovio, autore di Reginella, abitò per un periodo di tempo in via Antonio Villari e Tina Pica in un palazzo di via Santa Teresa al numero 118. Nella Chiesa di Santa Maria dei Vergini fu battezzato Alfonso Maria de’Liguori: il più santo dei napoletani e il più napoletano dei santi, e questo solo per citarne alcuni. Nel settembre 1833, Giacomo Leopardi invitato da Antonio Ranieri si trasferì a Napoli e per un breve periodo alloggiò nella sua casa sita in vico Pero n. 2. In questa casa, ritornato dalla Villa delle Ginestre a Torre del Greco, il poeta morì il 14 giugno 1837. Oggi è visibile da via Santa Teresa una lapide che ricorda la casa in cui Leopardì visse e morì.

 

Ho tracciato le linee essenziali di un quartiere che sta sgomitando con forza, e che grazie ai giovani, cerca di togliersi di dosso il pesante fardello che ha rischiato di schiacciarlo.

Come sappiamo sono sempre i giovani a intervenire, a operare, a rimboccarsi le maniche per amore del proprio paese, del proprio territorio. I giovani vanno seguiti, i loro sforzi vanno sostenuti e incoraggiati con ogni mezzo. I giovani sono nel Rione Sanità esempi di vita, di impegno e di lavoro che tutti dovremmo sostenere e specialmente chi è deputato a tale compito.

Dopo anni di abbandono, nel 2006 le Catacombe sono state affidate ai giovani della Cooperativa “La Paranza”, grazie all'intercessione dell'Arcidiocesi di Napoli e del Parroco della Basilica di Santa Maria della Sanità e in pochi anni sono diventate una delle principali attrazioni di Napoli, come io stessa ho potuto constatare nella visita al luogo, accompagnata da guide della “Paranza” che con competenza e dovizia di particolari, indice di una preparazione ampia e accurata di chi crede nel proprio lavoro e ama il luogo, sono stata resa partecipe della storia del territorio e della sua evoluzione. Un impegno da lodare, da ammirare, da considerare strumento di lavoro per chi il lavoro non ce l’ha ma che come questi giovani, esempio per noi tutti, credono in un futuro diverso. A loro il nostro plauso e tutto il sostegno possibile perché questi progetti possano sempre più proliferare. (2, fine)


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