In queste note sul cinema, mi è capitato più volte di constatare la sorprendente, secolare longevità di certi elementi della commedia teatrale antica, che infatti si ritrovano anche nelle commedie cinematografiche dei giorni d'oggi.
La commedia, come si sa, raccontava spesso dell'amore tra due giovani ostacolato da certi esponenti della società più tradizionale; un amore che, alla fine, riusciva a trionfare ed era spesso festeggiato in conclusione da un banchetto nuziale.
Ora, la commedia israeliana Un appuntamento per la sposa – scritto e diretto da un'autrice che appartiene alla comunità degli ebrei ultra-ortodossi, Rama Burshtein, e che in quell'ambiente ha collocato la sua storia (come quella del suo film precedente: La sposa promessa) – è centrato, come suggerisce il titolo, sul tema del matrimonio.
Di un matrimonio, in un certo senso, “ostacolato”. Ma l'ostacolo, come capita alle commedie contemporanee, non è esterno, è interiore: risiede nelle contraddizioni culturali, intime, della promessa sposa.
Lei, in effetti, avrebbe a disposizione un buon partito: un giovane ebreo, di bella presenza, appartenente alla sua stessa comunità. Il matrimonio, anzi, è già stato combinato, con il beneplacito delle famiglie degli sposi e del rabbino. Ma la ragazza nota che dal giorno in cui è stato stabilita la data delle nozze, il volto del suo futuro marito si è trasformato: è diventato più freddo, apatico. Lei lo costringe a rivelarle cosa gli è successo. E lui, alla fine, le confessa di non amarla.
Forse il matrimonio si potrebbe celebrare lo stesso. Ma la ragazza, che certo non vuole contravvenire alle convenzioni della comunità (che vorrebbe vederla sposata, alla sua età non più giovanissima); che non vuole in nessun caso disobbedire ai comandamenti di Dio; vuole anche però dividere la sua vita con una persona che lei ama e che la ami a sua volta.
Così il matrimonio combinato va a monte.
Ma allo stesso tempo lei prende un'iniziativa stravagante, quasi pazzesca, che è allo stesso tempo un atto di fede in Dio e una sfida a Dio.
Prenota la sala del banchetto nuziale, invia le partecipazioni agli invitati, confidando nel fatto che Dio, entro il giorno stabilito, le farà incontrare l'uomo giusto per lei.
Nel frattempo, dà appuntamento a diversi candidati.
Tra i più papabili, c'è un giovane che antepone a tal punto la fede in Dio all'amore per una donna carnale, che si rifiuta perfino di posare gli occhi su di lei prima del giorno del matrimonio.
All'estremo opposto, c'è un divo della canzone che dichiara subito di volerla sposare, ma con leggerezza, come per gioco. E lei, che certamente ne è attratta, che dichiara apertamente di avere una gran voglia di far l'amore, ma che considera il matrimonio un adempimento sacro, trova la forza per respingerlo.
Insomma: se la ragazza appare una stravagante, è perché cerca di conciliare precetti religiosi molto rigidi e forse opprimenti anche per lei, con un senso dell'amore più laico e “contemporaneo”.
E il finale della commedia realizza una specie di quadratura del cerchio, forse più auspicata che verosimile.
Si tratta di una problematica che può risultare estranea, remota, alla gran parte degli spettatori occidentali. Il racconto, umoristico, a momenti paradossale, non è esente da lungaggini. Tuttavia l'adesione emotiva dell'autrice ai conflitti interiori della protagonista, è tale che finisce per coinvolgerci nel suo racconto.
Gianfranco Cercone
(Trascrizione della puntata di “Cinema e cinema”
trasmessa da Radio Radicale il 17 giugno 2017
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