Renzo Cremona
Lingua madre
Biblioteca dei Leoni 2017, pp. 336, € 16,00
Originale senza dubbio questo libro di Renzo Cremona, che crea difficoltà ad essere collocato all’interno di uno specifico genere letterario. Una parte consistente è dedicata al dialogo tra un dialetto, quello di Chioggia, e la lingua italiana, dove il dialetto rivendica la sua priorità, la sua importanza anche a livello culturale, e lamenta il fatto di avere confini sempre più limitati, tanto da essere preso di mira se qualcuno ne fa uso, qua e là, in situazioni ufficiali.
C’è regolare traduzione a fronte. Non è semplice capire bene il dialetto, e verrebbe la tentazione di passare direttamente all’Italiano. Ma se provi a leggere a voce alta, allora senti la musica che esce da quei suoni, la cadenza carezzevole, e ti sembra di capire meglio. E tieni l’Italiano come un soccorso.
Seguono dei racconti brevi che si spezzano, si danno il cambio, come in una colloquio a più voci, in una situazione corale che fa emergere le situazioni più strane, dove chi riprende la parola continua un racconto interrotto, rivolgendosi all’interlocutore di prima. Ci sono surreali conversazioni con un dottore, guide turistiche che spiegano reperti archeologici, canili dove si appoggiano cani trovati per strada, chiromanti, farmacie, preti, psicologi, vaporetti che avanzano nella nebbia, balconi, altri luoghi che ricompongono il tessuto di un territorio: in realtà non compaiono i luoghi, ma i monologhi delle persone che vi stanno, che parlano come al telefono. Ci sono stranezze inspiegabili, come immagini di trapassati che compaiono in foto recenti, o tagli inspiegabili che fanno sanguinare la lingua, le mani, i piedi. I monologhi sono carichi di ansia.
L’acqua che cresce è elemento che seppellisce, cancella, fedele amica della nebbia che si allarga.
Fortemente simbolico e allusivo al male del mondo, alla sofferenza umana, alla solitudine esistenziale, alla mancanza di risposte, al mistero dell’esistere, ma al contempo continuo riferimento ad un patrimonio culturale che si sta perdendo, quello dei dialetti, espressione più immediata, vera, diretta del sentire popolare, ormai privilegio solo degli anziani, falciata dalla lingua standard, che è stata sì una conquista in nome della comunicazione e della unità del Paese, ma a fianco della quale non sì è pensato a tempo debito a conservare la bellezza e la valenza culturale dei dialetti. Allo stesso modo che si conservano e recuperano le opere d’arte.
Marisa Cecchetti