Rosa, simbolo d’amore, di dolore (in particolare della sofferenza di Cristo), di bellezza e di verginità. Labirintico scrigno di profonda e antichissima simbologia, non è forse il fiore che più di altri mostra e nasconde al tempo stesso la sua voluttuosa natura?
Luce e ombra, veglia e sogno, dolore e sublimazione. Giuseppina Rando procede per antitesi alla definizione di un tracciato che sembra non avere una meta predefinita. L’autrice, infatti, pare muoversi nel solco di quanto scriveva Proust a proposito del viaggiare: “Il vero viaggio di scoperta non consiste nel cercare nuove terre, ma nel vedere con occhi nuovi”. Così, se ogni elemento contiene il suo contrario («zefiro e scirocco / acqua e cielo»), non si deve arretrare dinnanzi alla realtà, qualunque essa sia, poiché soltanto aderendo ad essa sarà offerto quanto apparentemente essa nasconde: «penetra nel presente / del tuo corpo che il tempo / si restringe in un istante / ampio quanto il cielo».
Se di “geometria”, interpretando il titolo, si può parlare, sarà allora non tanto nell’accezione euclidea del termine, quanto nella sua radice etimologica, e quindi “misura della terra”. È la parola a fornire l’esatta misura della terra che essa copre perché proprio la parola può condurre l’uomo al di fuori dell’oscurità e del timore. La parola, infatti, non difende dal mistero, bensì lo enuncia, e per questo soltanto non siamo più “ombre al morbo che morde” (da notare il gioco allitterante).
L’uscita dalla caverna (espressamente citata dall’autrice) la si compie accettando in primo luogo l’ombra, o meglio che anche l’ombra faccia parte della nostra conoscenza. Insomma, rivedendo il mito platonico, la Rando sembrerebbe risolvere il problema dell’accecamento, dal momento che assumendo l’ossimoro come presupposto si può uscire dalla grotta con uno sguardo che, ad un tempo, riconosce la realtà ma non abbandona il fascino della proiezione che tanto lo ha ingannato, sì, ma anche protetto dai raggi del sole.
In conclusione, è proprio il fascino del compromesso a costituire l’elemento di maggior interesse nella scrittura e nella postura filosofica della Rando, che, con lucidissima visione (sarebbe curioso, peraltro, analizzare anche in chiave psico-analitica l’opera in questione) apre ad un ulteriore possibilità di lettura in accostamento al Maestro del teatro moderno: “Siamo fatti della stessa sostanza di cui sono fatti i sogni” (William Shakespeare, La Tempesta, Atto IV).
Ginevra Grisi
(da Literary, n. 5/2017)
Giuseppina Rando, Geometria della rosa
Aletti Editore, 2017, pp. 100, € 12,00