È uscito un libro, molto bello, che raccoglie le recensioni cinematografiche che Elsa Morante scrisse negli anni Cinquanta per una rubrica della Rai. (Il libro si intitola: La vita nel suo movimento. Lo ha curato Goffredo Fofi. È edito da Einaudi).
Ve ne voglio citare un passo.
A proposito del cinema neorealista, pur riconoscendo l'importanza culturale, artistica di quella stagione del cinema italiano – di cui furono maestri, come è noto, autori come Rossellini e De Sica – Elsa Morante rileva però un limite artistico che sarebbe di quasi tutti i film neorealisti e che lei chiama: il materialismo.
«Il materialismo» scrive la Morante «è un criterio limitativo, che si ferma su certi aspetti superficiali della vita, trascurandone la profondità e la ricchezza essenziali, che sono invece proprio l'oggetto e la giustificazione dell'arte».
Insomma, se non ho inteso male, il neorealismo si sarebbe a volte limitato a riprodurre l'apparenza della realtà, senza però riuscire a catturarne la sostanza, il “cuore segreto delle cose”.
Due dei film italiani che sono stati presentati in questi giorni al festival di Cannes, sono incentrati su temi di interesse “civile” che avrebbero potuto interessare gli autori del cinema neorealista.
Il primo, Sicilian ghost story, racconta una storia di mafia ed è ispirato a un fatto realmente accaduto, quello in cui fu vittima Giuseppe di Matteo. Il figlio di un mafioso cosiddetto “pentito”, è sequestrato e poi ucciso da altri mafiosi.
Va detto che il film – diretto da Antonio Piazza e Fabio Grassadonia – non è raccontato, almeno a pieno, alla maniera neorealista, dandoci cioè la sensazione di una cronaca grezza, come ripresa pari pari dalla realtà. È anzi un film che contamina la realtà siciliana con elementi fiabeschi, o vagamente religiosi, o del cinema orrorifico. Il ragazzo sequestrato ha dei tratti angelici, è di una purezza che quasi non è di questo mondo. La compagna di scuola, innamorata di lui, dopo la sua scomparsa, comunica con il suo fantasma. Mentre la madre della ragazza, che vorrebbe indurla alla rassegnazione, ad abbandonare ricerche e denunce, che nel paese in cui vive potrebbero metterla in pericolo, ha dei tratti vampireschi, o da creatura dell'oltretomba.
Forse il senso di questa metafora è che proprio la rassegnazione al sopruso e all'ingiustizia, fa della Sicilia, o di una sua parte, un paese di morti.
L'impressione che tuttavia lascia il film è che tale morale, tale contenuto, non è così ricco, profondo e rivelatore, da giustificare questo gioco di commistione di stili cinematografici; che resta appunto un gioco, abile, perfino raffinato, ma un po' vuoto.
Il secondo film, Fortunata di Sergio Castellitto, tratto da un romanzo di Margaret Mazzantini, si svolge in una periferia romana, e vorrebbe forse raccontare, attraverso la figura della protagonista e di un piccolo gruppo di personaggi intorno a lei, la vita dannata dei suoi abitanti. I loro problemi sono: la povertà, il lavoro precario e per questo ragione di stress (la protagonista fa la parrucchiera a domicilio), la violenza (in particolare degli uomini contro le donne), la tossicodipendenza. E come se non bastasse, sono aggiunti al calderone: l'Alzheimer, i disturbi bipolari, le nevrosi infantili.
Già la quantità dei temi trattati è un sintomo, a mio parere, del principale difetto del film: il “romanzesco”, e cioè una pletora disparata di fatti, che non sono uniti tra loro da un nesso, da un senso profondo.
Fortunata racconta di amori torridi, di violenze subdole, di disgrazie passate e recenti, di omicidi (si allude al tema dell'eutanasia), di miracolose vincite alla lotteria. È insomma una sfilata di episodi forti, di scene madri, quelle proprie del feuilleton, del romanzo d'appendice.
Il racconto è agile, scorre con una certa piacevolezza. Ma lascia un'impressione di gratuità, perché questa girandola di avvenimenti non lascia un'impressione approfondita né dell'ambiente in cui si svolgono (la periferia romana, appunto) né di alcuno dei personaggi.
Gianfranco Cercone
(Trascrizione della puntata di “Cinema e cinema”
trasmessa da Radio Radicale il 27 maggio 2017
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