L’articolo di Vito Mancuso “Il Dante laico un eretico in Paradiso” apparso oggi, sabato 27 maggio 2017, a pag. 45 di la Repubblica comprova la necessità dell’archeologia del linguaggio perché, così, riesce ad aver ragione pur facendo torto alla verità.
Immagino che Mancuso sia preso dal tema dell’eresia praticata con la Commedia che mise all’inferno ben cinque papi, Nicolò III, Bonifacio VIII, Clemente V, Celestino II, Anastasio IV e concordo con la sua analisi che fissa il centro matematico dell’opera nella terzina: “Se così fosse, in voi fora distrutto/ libero arbitrio, e non fora giustizia/ per ben letizia, e per male aver lutto”, Purg. XVI, 70-72 (meriterebbe di ricordare “lo mondo è cieco”, 66, “lo mondo è ben così tutto diserto/ d’ogni virtute”, 58, causa la corruzione nel potere dei papi); ma il suo essere in paradiso dal 1921 dovrebbe venir pure accennato, mentre non trovo nessuna menzione. Da quasi cento anni, cioè dall’enciclica del 30 aprile 1921, In praeclara summorum di Benedetto XV, il Paradiso è arrivato anche per Dante.
Mio padre Gino studiò ragioneria al Collegio arcivescovile “Dante” di Vittorio Veneto, fondato con questo nome nel 1921 a seguito di quell’enciclica poco citata
In Praeclara Summorum. Lettera Enciclica in occasione del VI centenario della morte di Dante Alighieri, 30 aprile 1921, Benedetto XV. (cfr. Wikipedia)
I papi successivi, Paolo VI in particolare, hanno continuato ad esaltare il poeta più santo del genere umano.
Cento anni non fanno equilibrio, però, con seicento anni di persecuzione da parte del potere ecclesiastico, col dare alle fiamme, ad opera di papa Giovanni XXII nel 1329, il De monarchia e con l’inserimento della stessa opera nel 1559 nel Index librorum prohibitorum.
La storia sconfigge 6 a 1 il massimo livello della Chiesa in Italia. Immiserisce 1 a 6 l’articolo retto di Mancuso, attento alle eresie e dimentico della verità.
Come uscirne senza arrendersi all’era della post-verità?: con la ricostruzione completa di gioie e dolori nella commedia dell’uomo che scrive da più di 4000 anni cose vere-false nell’oroboro della storia, il serpente che si morde la coda. Uruburu in zumero.
Carlo Forin