Ho avuto graditissima ospite Rosangela Pesenti, che -oltre a tutto il resto che sa e fa- è anche una straordinaria insegnante di storia nei Licei, e ho pensato che tra i "divertimenti" che ci saremmo concessi tra una seduta e l'altra della finanziaria (ha reso il suo soggiorno un po' più noioso e costretto del previsto) poteva starci una visita alla Cripta di Balbo, una delle sezioni più significative del Museo nazionale romano (non dei Musei vaticani, ma di un museo di stato, pubblico, scientifico, laico). C'ero già stata e anche la prima volta avevo molto apprezzato l'accompagnamento di una signora, che continuava a dire che non era una archeologa, ma che quello che sapeva lo aveva imparato un po' ascoltando, un po' osservando. Ero stata molto soddisfatta delle sue parole che indicavano una nativa intelligenza, una cultura non scolastica, un vero e grande affetto per la sua città.
Anche questa volta siamo state accompagnate -noi due e altri- da una giovane signora, che ha continuamente protestato la sua non qualifica di archeologa (sono obbligate a farlo?), ma ugualmente ci è risultata utile colta simpatica e affezionata alla sua città della quale parlava come se la parte sotterranea (sta sotto via delle Botteghe oscure) le fosse nota come quella visibile oggi. E ci ha detto anche che molte cose sono ancora sepolte, e domandato noi se sono previsti scavi, ha replicato quasi scandalizzata: «Ma stanno sotto un palazzo del 1300!». Del resto tutto è molto bene illustrato con cartine disegni grafici citazioni di fonti, insomma lo si visita con grande vantaggio. Questa volta ho potuto visitare anche la parte non ancora del tutto scoperta, dove i lavori sono ancora in corso, cioè l'esedra e il mitreo. Qui la guida era una archeologa, che ha continuato a chiederci se «di là vi hanno detto, vi hanno chiarito, vi hanno spiegato, avete capito ecc.?»: ho cominciato a sentirmi un po' scema, e soprattutto irritata. Nel mostrare le latrine pubbliche costruite ancora ai tempi di Augusto, sembrava un po' irridente e quando ha detto che accanto a ogni posto c'era una spugna o un telo attaccato a una catenella per pulirsi, sembrava essere molto scioccata e ha accennato «per un minimo di igiene». In verità è raro che dal mondo antico ci arrivino impianti di questo genere, che testimoniano la cura che lo stato romano aveva dei suoi cittadini. Lo stesso quando, nel ricordare che 500 cantine stavano sotto il Porticus Minucia, e che erano magazzini del frumento che proprio sotto il portico veniva distribuito ai capifamiglia con tessera, alla mia richiesta se dunque fossero cantine pubbliche, sembrava non conoscere la differenza tra pubblico e privato. Forse avevo posto male la domanda. Il meglio di sé lo ha dato nel parlare del mitreo. Non sembrava avere la minima idea di che cosa fosse la religione mitraica. Dopo aver detto poco o niente, ha anche aggiunto con aria da cospiratrice che «sembra facessero anche sacrifici umani». A questo punto Rosangela ha soggiunto che gli storici sono molto scettici oggi su ciò, ma l'archeologa ha ribattuto «Erano pagani!», come se Mitra fosse stato un dio dell'Olimpo. Non erano pagani: la religione di Mitra è una religione orientale sopraggiunta a Roma in tempi non molto diversi dal Cristianesimo, è di grande interesse e importanza ed è anche interessante vedere le tappe della diffusione dei due culti, le somiglianze, la scelta o l'obbligo per sicurezza dei luoghi clandestini (le catacombe, la cripta) e le dicerie sui riti (anche i cristiani furono sospettati di antropofagia perché la frase «se non berrete del mio sangue e non mangerete la mia carne, non avrete la vita eterna» era stata interpretata alla lettera).
Morale: lasciateci guide affezionate a Roma e che nella storia romana antica si sentono a casa loro e vanno benissimo. Ma alle guide colte dite che debbono dire ciò che le ricerche scientifiche provano, non dare conto della propria aderenza e soggezione alla più trita e acritica vulgata cristiana: non lo si fa nemmeno nei musei vaticani, che sono molto più laici.
Lidia Menapace