Uno dei punti di forza della SCAM è quello di dare “Piccole consulenze casearie”… Ogni tanto, qualche “agricolo” o qualche collega casaro, anche se in quest’ultimo caso è più uno scambio di opinioni tecniche, mi chiama per avere qualche dritta pratica sulla tecnologia di caseificazione e correggere e migliorare il proprio prodotto.
Cosa fare, invece, quando nella “tua” casera ti si presenta un grosso problema e non riesci a risolverlo? E “tu”, che sei un “Esperto” e le hai provate tutte e non sei riuscito a risolverlo, che figura ci fai? Come comportarsi? Cosa fare, allora?
Per coinvolgervi o coinvolgere almeno qualche collega casaro, ho deciso che siate voi, miei lettori, ad aggiornarmi sulle operazioni da svolgere per risolvere il problema che ho avuto l’estate appena passata, nella casera dell’alpeggio dove ho lavorato. Un abbonamento annuale gratuito al Gazetin a chi mi dà l’informazione più pratica e più fattibile.
Durante la stagione d’alpeggio 2005 ho prodotto un formaggio a latte crudo, a pasta semicotta, del peso di 12 Kg di media e di una stagionatura minima di 60 giorni, grasso e semigrasso al 50%. Ventiquattro ore circa di salamoia a 20°. Be', 13° gradi centigradi di temperatura e un PH 5/5.20. Il latte di partenza aveva mediamente un PH di 6.40 (non è un errore di battitura!). Ho sempre aggiunto una punta di fermenti mesofili, e il PH della pasta, scendeva in quattro ore al di sotto del 5, con immediata messa in casera e salatura a secco iniziale. Bene, anzi maluccio! Le forme, dopo una decina di giorni, cominciavano a diventare appiccicaticce, translucide, rossastre… Insomma trasudavano! Come se mancasse loro l’aria e la temperatura giusta. Eppure la temperatura della casera era quella minima possibile (13°c.) e una umidità relativa dell’80/90%. Alla casera sono state apportate le seguenti modifiche: è stata inserita una nuova scalera, dove prima c’era una spazio, quasi centralmente. Davanti alla porta d’entrata esposta a Sud-Ovest è stata costruita una tettoia in lamiera di circa due metri per due. A Nord-Est è stato pavimentato col cemento uno spazio adibito a ricovero per vitelli in quanto il colaticcio entrava in casera, essendo la stessa semi-interrata.
All’inizio della stagione vengono portati in casera alcune forme di Taleggio “nostrano” stagionato, in quanto il formaggio che produco necessita di un tempo commerciale di almeno 40 giorni. Inoltre a volte uso l’acqua della condensa degli impianti di refrigerazione di cui la casera è dotata per togliere la muffa (grigiastra) che si forma sulle “formagge” (spesso manca l’acqua del rubinetto). Ogni giorno pulisco una scalera, 80/90 forme, con uno straccio strizzato nell’acqua tiepida con conseguente rivoltamento delle stesse. Il formaggio, verso i quaranta giorni, veniva poi “raspato” e “toilettato” e la crosta risultava di un bianco avorio, logico no? La pasta è sempre risultata abbastanza occhiata irregolarmente, dolce-saporita e molto palatabile. Alcune forme hanno presentato dei rigonfiamenti all’esterno sullo scalzo (bögni). Dopo alcuni giorni le forme pulite “facevano” regolarmente la loro bella muffa grigiastra, con un grande sollievo da parte mia.
Ecco il quadro è questo. A voi ora farmi avere la vostra analisi e le vostre proposte per risolvere il problema, l’anno prossimo. Sarà per me un “Corso di aggiornamento pratico”. Vi ringrazio in anticipo anche per i consigli sulla fattibilità, ma mi sa che dovrò cavarmela da solo, ...perché se aspetto i “caricatori”…
Piccolo aiuto: alcuni esperti del settore hanno parlato di “inquinamento da muffa di taleggio”. Siete d’accordo?
Alfredo Mazzoni