La lettera inviata da Piergiorgio Welby, Presidente dell’associazione Luca Coscioni, al Capo dello Stato e la discussione che ne è seguita hanno catapultato il tema dell’eutanasia nel dibattito politico.
L’Eutanasia è un fatto; una pratica già presente e relativamente diffusa nel nostro come in tutti i paesi avanzati. La differenza sta nell’esistenza o meno di una regolamentazione legale, in Italia l’eutanasia è praticata in modo clandestino e illegale.
Da questo punto di vista resto convinto che l’approccio debba essere quello di una depenalizzazione, che si fondi sul rapporto fiduciario tra medico e paziente e che valorizzi la deontologia dei medici. Viceversa resto scettico nei confronti dei tentativi di definire una legge prescrittiva, necessariamente casuistica e astrattamente onnicomprensiva, che non tenga in conto l’irriducibilità di ogni singola situazione ad uno schema predefinito. Questa pretesa diverrebbe grottesca laddove imponesse al medico, indipendentemente dalla sua volontà e dal suo giudizio di praticare l’eutanasia. La “confessione” di Don Verzè che ha raccontato di avere praticato l’eutanasia ad un amico, la testimonianza drammatica, ma rigorosa di Piergiorgio Welby sono gli elementi più visibili oggi di una sensibilità e di una riflessione assai diffusa e condivisa in una parte dell’opinione pubblica italiana.
Penso sia doveroso che nel centrodestra si apra un confronto scevro da pregiudizi ideologici sul tema dell’eutanasia, che consenta di elaborare una proposta improntata al rispetto della libertà e della responsabilità dei singoli piuttosto che ad uno scontato riflesso statalista.
Benedetto Della Vedova
(da 'l Gazetin, gennaio 2006)