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Stefano Bardi. La Resistenza in “Fisarmonica rossa” di Franco Matacotta
22 Aprile 2017
 

La Resistenza partigiana è stata sempre un ottimo soggetto per la letteratura, per la musica, per il cinema, e per la novecentesca poesia, com’è dimostrato dalla raccolta Fisarmonica Rossa del 1945, composta dal poeta fermano Franco Matacotta (Fermo, 1916 – Genova, 1° maggio 1978). Una fisarmonica che evoca emozioni puerili, le quali sono dislocate, dal nostro poeta fermano, all’interno di un’atmosfera popolare, infantile, e guerrigliera. Per il poeta fermano, la musica di questo strumento è l’unica arma, da utilizzare contro la crudeltà esistenziale e bellica. Melodie ed emozioni paurose, sentimentali e “divine” questa fisarmonica diffonde. Inoltre, queste musiche e questi sentimenti, hanno il principale scopo di conquistare la gioia e la purezza, dell’indulgenza e della mitezza. Questo vate vuole creare con la sua ebbra fisarmonica collettive confessioni di fede, corali armonie, concitate chimere di speranza, e nostalgiche mutazioni psicologiche ed esistenziali. Una raccolta che studia nel profondo i motivi della Resistenza Partigiana, che sono individuati dal poeta nei termini di ordine, difesa, affermazione dell’Uomo, Terra natia, figli, castità esistenziale, e tanti altri ancora. La Lotta Partigiana è vista dal Matacotta come una condizione etica, sacrale, e di vita giornaliera; e inoltre per il poeta fermano, essere Partigiani vuol dire essere portatori di vita. Resistenza che parla con un linguaggio composto di sottomissione e guerriglia, la quale quest’ultima simboleggia per il Matacotta, un grido di vita e di speranza. Una raccolta, che partorisce un uomo rigido e murato con le carni spezzate, orribili, e “demoniache”; e che rende scenografiche le sue liriche, in strade e città brumose, che sono ininterrottamente sonorizzate, da lacrimanti e cimiteriali campane. Un’umanità intera è afflitta, dentro un paesaggio fatto di oscurità, brume, pioggia, e sempre schiaffeggiato da un vento che ha il canto della mitraglia; e, dulcis in fundo, una tempesta schiaffeggia gli spiriti e gli oggetti. Vita come morte e dipartita come abbandono spirituale.

L’uomo matacottiano è un uomo, che scappa dalla fame, dalla paura, dalla povertà, e infine dalle dilaniate e sciocche carni. Più nel dettaglio l’Uomo matacottiano è colto nella sua spersonalizzazione, come se si fosse trasformato in oggetto e avesse dimenticato la sua conformità, perdendo di conseguenza le sue vitali funzioni psico-motorie. Sangue soffocatore, dipartita divoratrice, e verecondia incurabile. La raccolta matacottiana è accompagnata, dall’inizio alla fine, da una melodia demoniaca che confonde i frastuoni delle tenebre con i malaugurati lamenti degli animali, con il serale strepitio delle catastrofi, con l’abbattuto e brumoso canto alla rossa speranza. Questa raccolta si pone l’obiettivo di camminare dentro un mondo di melodie e percezioni, di movimenti e bagliori, di terrore e sconfitte, di amori e fiducie; e di rintracciare l’Italia autentica nella sua “primitività”, nella sua povertà, nelle sue ambiguità, e nella sua speranza genuina e guerrigliera, che conduca al risorgimento e all’evoluzione dell’umanità.

Un altro tema di questa raccolta è l’urlo, che è composto di due facce, che sono la sofferenza spirituale e l’ideologia politico-sociale. Eppure le liriche di questa raccolta non sono solo sangue, morte, e urli spirituali, ma anche e soprattutto, inni all’Uomo composti con timbri popolari, vocalismi lirici, e note sciolte. Un elemento importante dell’opera matacottiana è costituito dall’azione, sia quando essa vuole spezzare la stasi etica-spirituale sia quando la lusinga comunista, illumina con il suo ardente bagliore, l’inizio di una nuova vita, colma di libertà, di uguaglianza, e di legalità. In conclusione l’Uomo nuovo della Resistenza Partigiana è per Franco Matacotta, un essere arsiccio, fossilizzato, e infingardo, il quale in ultima istanza, non ha nessuna possibilità di rinascere a nuova vita; e la sua lirica è una poesia civile, ovvero, una lirica di aiuto socio-umano verso gli altri, e non più una reminiscenza, dei suoi fantasmi e dei suoi miti spirituali.

Una conclusione giusta per metà, poiché altro ancora si deve aggiungere a queste parole. Secondo il Matacotta, gli uomini, per riconquistare la loro autonomia e fierezza dovevano rinascere come “lupi veggenti”, ovvero, utilizzare un codice ideologicamente pessimistico, per farne vincere uno eticamente e umanamente luminoso. Concetto che può essere tradotto, come la mutazione nella logica storica della ferocia guerrigliera e della ragione ideologica, in una lusinga di pace e in un “solenne giuramento” di fratellanza, benevolenza, e compassione umana. Una visione, questa, che il poeta fermano estrapola dalla materna e popolare cristianità, legata alla provincia picena, che concepiva il Cristianesimo come qualcosa di estetico e di esegetico, ma allo stesso tempo il Cristianesimo più in generale è visto dal Matacotta come la causa del disfacimento degli antichi bagliori dell’Italia. Accanto all’immagine e al tema della fisarmonica, c’è anche quello della notte, dal Matacotta liricizzata come un’atmosfera, dal vacuo e luttuoso vento; e dalla cimiteriale melodia, affidata al lamentoso canto degli usignoli. Un altro tema è quello del peregrinare inteso come andare oltre il confine, il quale confine simboleggia la Terra Promessa, intesa quest’ultima come la culla della probità e come “emarginazione” dalla quiete pratico-teorica. Un camminare, quello del Matacotta, che si muove su “melodie” di marcia, che provocano un intenso rimbombo, che spezza il cimiteriale mutismo intorno a se stesso. Temi preziosi nella raccolta del Matacotta, sono anche e soprattutto gli elementi naturali, come l’acqua, il sangue, e la luna. L’acqua è vista come confusione iniziale e squagliamento della materia, il sangue come linfa e arcano dell’esistenza, il cuore delle membra e della psiche, ed è liricizzato con orfiche, magiche e rituali visioni antropologiche; e infine la luna è vista dal poeta fermano come depravazione, disfacimento del Mondo, e come crudele vittoria delle tenebre, della dipartita, e del sangue, sulla Terra.

Termino queste mie parole, ma stavolta veramente, spendendo molto velocemente due parole sullo stile della raccolta, che usa intensamente ripetizione e anafore, dislocate all’interno di una struttura paratattica, dalle umili e corali tonalità linguistiche. Una raccolta in cui è usata una favella rigida, pungente, acida, e senza nessuna speranza di salvezza; e che usa lessemi del mondo edilizio, come per esempio i vocaboli polvere e piombo, dove il primo rimanda all’assenza di messaggistica della logica e il secondo, invece, rimanda alle armi ferrate del conflitto svoltosi. Inoltre, le liriche di questa raccolta, producono figure positive ma colme allo stesso tempo di blasfemi tormenti etici, che sono in grado di esacerbare il dolore di chi, ancora oggi dopo settantadue anni dalla fine della Seconda guerra mondiale, percepisce sulle sue carni la contumelia patita da un popolo, che simboleggiò l’avvilimento dell’intelletto, la repressione delle membra, e il “suicidio” dell’Uomo. Raccolta coraggiosa fu quella di Franco Matacotta, poiché cercò di “creare” un linguaggio poetico inedito, prendendo spunto dal linguaggio popolare, dialettale, e da un linguaggio con profonde radici nell’attivismo ideologico.

 

Stefano Bardi

 

 

 

Bibliografia e sitografia di riferimento

  • C. Antognini, Scrittori marchigiani del Novecento, Bogaloni Editori, Ancona, 1971 - 2 vol., Tomo II.

  • L. Martellini, Franco Matacotta, La Nuova Italia, Firenze, 1981.

  • A. Luzi, Sulla soglia del paese. Scrittori marchigiani contemporanei, Bagaloni Editore, Ancona, 1984.

  • G. Morelli, Franco Matacotta, Atti del Convegno di Studi – Bergamo 1987, CooperativaStudium Bergomense, Bergamo, 1987.

  • A. Colasanti – A. Cazzini Tartaglino – T. Iannini, Letteratura italiana. Schemi riassuntivi, quadri di approfondimento, De Agostini, Novara, 2011.

  • L. Spurio, Scritti marchigiani, Le Mezzelane, Santa Maria Nuova, 2017.

  • A. Mastropasqua, “Franco Matacotta”, in Dizionario Biografico degli Italiani (www.treccani.it).


 
 
 
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