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Poesia d'autore/ Jorge Luis Borges. Giovanni, I, 14
La Galilea vista dal Monte Tabor
La Galilea vista dal Monte Tabor 
14 Aprile 2017
 

Non sarà questa pagina enigma minore

di quelle dei Miei libri sacri

o delle altre che ripetono

le bocche inconsapevoli,

credendole d’un uomo, non già specchi

oscuri dello Spirito.

Io che sono l’È, il Fu e il Sarà

accondiscendo ancora al linguaggio

che è tempo successivo e simbolo.

Chi giuoca con un bimbo giuoca con ciò che è

prossimo e misterioso;

io volli giocare coi Miei figli.

Stetti tra loro con stupore e tenerezza.

Per opera di un incantesimo

nacqui stranamente da un ventre.

Vissi stregato, prigioniero di un corpo

e di un’umile anima.

Conobbi la memoria,

moneta che non è mai la medesima.

Il timore conobbi e la speranza,

questi due volti del dubbio futuro.

Ed appresi la veglia, il sonno, i sogni,

l’ignoranza, la carne,

i tardi labirinti della mente,

l’amicizia degli uomini,

la misteriosa devozione dei cani.

Fui amato, compreso, esaltato e appeso a una croce.

Bevvi il calice fino alla feccia.

Gli occhi Miei videro quel che ignoravano:

la notte e le sue stelle.

Conobbi ciò ch’è terso, ciò ch’è arido, quanto è dispari e scabro,

il sapore del miele e della mela

e l’acqua nella gola della sete,

il peso d’un metallo sul palmo,

la voce umana, il suono di passi sopra l’erba,

l’odore della pioggia in Galilea,

l’alto gridio degli uccelli.

Conobbi l’amarezza.

Ho affidato quanto è da scrivere a un uomo qualsiasi;

non sarà mai quello che voglio dire,

sarà almeno la sua eco.

Dalla Mia eternità cadono segni.

Altri, non questi ch’è il suo amanuense, scriva l’opera.

Domani sarò tigre fra le tigri

e dirò la Mia legge nella selva,

o un grande albero in Asia.

Ricordo a volte e rimpiango l’odore

di quella bottega di falegname.

 

 

Trad. Francesco Tentori Montalto


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