Giuseppina Rando. Un uomo, una voce Il ritorno di Beniamino Gigli nell’ultimo film del regista Giuseppe Conti
05 Aprile 2017
Immagini che diventano realtà è ciò che il film Un uomo, una voce – dedicato alla vita di Beniamino Gigli, con la regia di Giuseppe Conti – elegantemente concretizza quando innesta i suoi gradi di raffigurazione nei personaggi che via via si presentano allo spettatore per far rivivere la semplicità e la povertà dell’infanzia e adolescenza di uno dei miti del teatro lirico del Novecento.
Immagini che si susseguono in quadri diversi come a segnare il percorso evolutivo di una vicenda umana ed artistica intrisa di umiltà, sacrifici e affetti.
I miei, personali, ricordi di bambina s’intrecciano, tra i tanti, anche alla figura di Beniamino Gigli, uno dei più celebri tenori del Novecento, di cui mio padre era un grande ammiratore: non mancavano in casa i suoi dischi in 78 giri che, assieme a quelli di Enrico Caruso, sul grammofono la voce del padrone, deliziavano le nostre serate e gli ospiti nei giorni di festa.
Oggi, a distanza di tanti anni, ho riascoltato con commozione l’inconfondibile voce del grande tenore e visto ed apprezzato l’accurata ricostruzione filmica di Giuseppe Conti che ha voluto, soprattutto, evidenziare lo spirito di sacrificio di un ragazzo che, tra molte difficoltà e in tempi non facili, non si è perso d’animo, anzi è riuscito a coltivare, attraverso lo studio, la propria inclinazione al canto, lottando e realizzando ciò che, all’inizio, sembrava un’irraggiungibile meta.
Si rimane affascinati dalla scenografia che ci riporta in mondo ormai scomparso, ma rivissuto da attori di grande talento, calati nei personaggi con tanta naturalezza sì da porre in risalto i tratti psicologici di ciascuno. I dialoghi e la sostanza del linguaggio, estremamente curata dallo sceneggiatore e regista, ne evidenziano la precarietà dell’esistenza nella strutturazione di fraseggi finalizzati allo spazio in cui la prosa si accompagna al sentimento. Abilissimo Giuseppe Conti nel mettere a fuoco e catturare, con riprese e inquadrature, anche l’invisibile, ossia quel pathos che rende interessanti e paradigmatiche le scene nella loro perfetta normalità e realtà.
Esemplare in questo l’attrice Giulia Poeta, completa nella parte di Ester Magnaterra, madre del protagonista, con un ruolo primario nella vita del figlio.
«Ester per Beniamino è stata una figura fondamentale» dice Giulia in un’intervista: «Credo che Beniamino in tutte le donne che ha amato ricercasse la mamma. Culturalmente indottrinata dal papà maestro, Ester è una donna tradizionalista, molto cattolica, dedicata interamente alla famiglia. È stata la prima insegnante di canto di Beniamino ma mai avrebbe immaginato che suo figlio sarebbe diventato una star planetaria. Nel film è contenta del figlio che abbraccia la carriera di tenore, ma anche molto impaurita, soprattutto si evince nella struggente scena dell’addio che mi ha dato tante emozioni».
Le non comuni doti interpretative di Giulia Poeta, in realtà, danno al personaggio di Ester un quid, un particolare che mai la fanno decadere al rango di semplice messa in scena. Una sentita simbiosi con la mamma apprensiva ed ansiosa per il figlio che lascia l’antico borgo natio per Roma, dove l’attende un temibile “ignoto”.
L’abbraccio con il figlio piangente, prima che egli salga sulla carrozza, gli sguardi, la gestualità di entrambi costruiscono una scena di grande intensità emotiva e parlano dell’amore che per tutta la vita legherà il tenore alla madre.
Umile e forte, con la sua ungarettiana figura statuaria, Ester rimane per sempre scolpita nel cuore e nella mente di Beniamino e lo si evince anche dall’ardore con cui canta la celeberrima canzone “Mamma” nell’omonimo film (1941) diretto da Guido Brignone e, in parte, ripreso da Conti a conclusione del suo prestigioso Un uomo, una voce.
Più che un film – in verità – sembra una straordinaria pittura, pittura dello spirito, dell’anima e delle sue più nascoste pieghe. Un quadro i cui contorni si sfumano si dilatano… a volte, anche si alterano. Un quadro dove la verità del soggetto dipinto – l’umanità e la voce di Beniamino Gigli – si strappa dal proprio sito e si proietta oltre se stesso consegnandosi al tempo senza tempo.