Si sa che i fatti storici, gli stessi eventi epocali, possono essere fruttuosamente raccontati dal punto di vista di chi di quegli eventi è stato un testimone ignaro: che magari da quegli eventi è stato travolto, ma non li aveva minimamente previsti, e non li ha mai pienamente compresi.
Dico: fruttuosamente, perché la sua stessa ingenuità, può dare freschezza al racconto di quei fatti, può far scoprire in loro una verità, magari elementare ma autentica, che chi è più a conoscenza delle circostanze in cui quei fatti sono maturati, può trascurare, dimenticare.
Jackie, il film che un bravissimo autore cileno Pablo Larraìn ha girato negli Stati Uniti, verte intorno all'assassino del presidente John Fitzgerald Kennedy, e lo racconta, come suggerisce il titolo, dal punto di vista della moglie, Jacqueline Kennedy, la quale sedeva su un'automobile accanto al marito, durante una cerimonia ufficiale a Dallas, quando un proiettile colpì il presidente alla testa.
Parlavo di un testimone ingenuo, ignaro. Ma Jacqueline Kennedy, la first lady, la si potrebbe supporre intimamente partecipe della vita del marito. Ma secondo la ricostruzione che suggerisce il film , non è davvero così. Relegata a un ruolo femminile tradizionale (come curare l'arredamento della residenza alla Casa Bianca), lasciata all'oscuro delle questioni della politica (almeno le più segrete o le più torbide), percepisce nel suo stesso ambiente familiare, nella complicità che lega il marito al fratello Bob, delle trame di cui però le sfuggono i contorni. E quando quelle trame si infittiscono fino appunto ad inghiottire suo marito, insieme al dolore traumatico per la perdita improvvisa dell'uomo che ama, prova il furore di chi si sente estromessa da questioni per lei vitali, e tradita, manipolata.
E reagisce con l'unica arma di cui dispone: la propria immagine pubblica. Senza essere neanche allora messa pienamente a conoscenza dei rischi che avrebbe corso, sceglie di sfilare a piedi, con i due figli ancora bambini accanto a lei, per strada, dietro al feretro; con fermezza, con dignità, come un atto di accusa vivente contro quelle oscure ragioni, qualunque esse siano, che hanno strappato a due creature il loro padre.
Jackie non adotta un racconto tradizionale, lineare. Si compone in effetti di tre episodi, dislocati nel tempo e intrecciati fra loro. Un'intervista, che la Kennedy rilascia a un giornalista dopo l'attentato; la registrazione, tempo prima, di un programma televisivo nel quale lei, come una padrona di casa, mostrava agli americani gli interni della Casa Bianca; e poi i momenti dell'attentato, quando, sull'automobile, tiene stretto fra le mani il cranio fracassato del marito, e quando rientra a casa con il volto escoriato e con l'abito rosa macchiato di sangue.
Il senso vero del film è proprio nel contrappunto tra questi episodi, ed è forse nella manifestazione dell'orrore e del caos che si nascondono tra le pieghe della politica e della Storia; orrore e caos, che la propaganda televisiva, le coreografie delle cerimonie ufficiali, gli arredamenti impeccabili delle residenze del potere, tentano di camuffare.
Va detto che Natalie Portman offre di Jacqueline Kennedy un'interpretazione memorabile. Come ha scritto il critico Fabio Ferzetti: «Il personaggio è affidato a una Natalie Portman che usa la propria fragilità fisica, così dissimile dalla grinta dell'arrogante, colta, ricchissima Jackie, per puntare non sul mimetismo (come avrebbe fatto un qualsiasi biopic) ma proprio sul trucco e sull'artificio. Il filtro più potente per arrivare al cuore del personaggio».
Cito Ferzetti non a caso. È stato per tanti anni il critico cinematografico del quotidiano Il messaggero e ha cessato la collaborazione con quel giornale. Leggo con piacere, con simpatia Francesco Alò, che è anche lui critico di quel giornale. Ma mi dispiace non poter leggere più anche Ferzetti, che è un critico di grande valore, per me un punto di riferimento per tanti anni.
Auguri a Ferzetti per i suoi nuovi impegni professionali!
Gianfranco Cercone
(Trascrizione della puntata di “Cinema e cinema”
trasmessa da Radio Radicale il 4 marzo 2017
»» QUI la scheda audio)