Che cosa dovrebbero fare i concorrenti alla leadership del PD? Devono puntare a una maggioranza “bulgara” in vista del prossimo congresso di partito? O cercare di assicurarsi un punto di vista consistente sulle cose a venire?
Oltre a questi due, c'è sempre un terzo modo di posizionarsi nel confronto politico: l'eliminazione dell'avversario. Tema vecchio di mezzo millennio, di cui scrisse il segretario fiorentino, Nicolò Machiavelli, con mani ancora dolenti, rese storpie dalle gravi torture subite.
Tre sono i modi per l'acquisizione del consenso necessario a esercitare il potere: 1) il possesso di una capacità di conoscere il da farsi: gouverner c'est prevoir, dicono i francesi; 2) il possesso di ricchezze tali da consentire le varie forme della regalia; 3) il possesso di forza di fatto sufficiente a battere gli avversari.
Il buon governo, secondo una lunga tradizione di pensiero, dipende dall'egemonia culturale del primo fattore: conoscere per deliberare. Senonché, tra l'amore per la conoscenza e il desiderio di ricchezza sussiste una sorta di conflitto delle razionalità, perché un conto è la nozione del bene pubblico, un altro la massimizzazione del profitto in senso privato e particulare. Aut aut.
Bisogna allora vedere quale ratio, tra le due “concorrenti”, riesce di volta in volta ad aggiudicarsi l'alleanza con il fattore della forza. Ma se la ragione deve allearsi alla forza, e domarla, è allora qui che passa, da Platone a Gramsci, il nervo scoperto dell'egemonia culturale. Perché occorre realizzare l'alleanza, ma anche evitare il prevalere della forza sulla ragione. Altrimenti ne scaturisce una mera eversione, che in termini tecnico-giuridici si può definire “rivoluzione politica”, ma che poi, anche se conquista il Palazzo d'Inverno, anche se crea uomini “nuovi” per decreto sovrano, anche se versa sangue a scopo didattico e conquista il cuore dello Stato, in conclusione non muta in nulla ciò che è nei cuori e nelle coscienze degli uomini: un “dio fallito”, per dirla con Silone.
Ma torniamo al PD. Come a ogni tornante della vicenda politica, c'è chi si dà da fare nel libero mercato delle tessere. E c'è chi celebra, o vorrebbe celebrare, costituenti e conferenze programmatiche.
Nella Prima repubblica la maggioranza “dorotea” della DC si occupava attentamente delle tessere. Le sinistre, invece, almanaccavano sulle «magnifiche sorti e progressive».
Resta memorabile la grande conferenza “dei meriti e dei bisogni”, promossa dal PSI, e in particolare da Claudio Martelli, a Rimini nel 1982. Rimini ha rappresentato un esempio di Politica con la “p” maiuscola perché, alla ricerca dei possibili soggetti di un riformismo moderno, focalizzò una maggioranza sociale che ha nel seguito alimentato a sinistra la cultura di governo durante un quarantennio di storia repubblicana. Deinde philosophari.
Ma tutto finisce e la crisi planetaria in atto costringe anche la Politica con la “p” maiuscola a una profonda riflessione.
Siamo in mezzo a un sisma antropologico. Tre libri sul tema: Breve storia del futuro dell'economista francese Jacques Attali (già consigliere di Mitterrand), Il postumano della filosofa femminista italo-australiana Rosi Braidotti e Homo Deus dello storico israeliano Youval Harari. Il quale riassume la destinazione della storia universale in tre semplici step: I) Homo sapiens conquista il mondo, II) Homo sapiens dà un senso al mondo, III) Homo sapiens perde il controllo.
Attali, Braidotti e Harari sono tre intelletti di prim'ordine, appartenenti a tre generazioni diverse, a tre continenti diversi, a tre discipline diverse, approcciate con metodi di ricerca diversi. Ma concordano su questa diagnosi: siamo a una soglia. Rispetto alla quale soglia occorre ripensare “la vita oltre l'individuo, oltre la specie, oltre la morte” (Braidotti).
In effetti, se consideriamo la globalizzazione dal punto di vista dell'ideale cosmopolita, per il quale ogni essere umano è “cittadino del mondo”, rischiamo il capogiro. I processi planetari più importanti per la nostra vita – la pace, l'ambiente, il lavoro, la finanza, la giustizia e la legalità, l'alta tecnologia e financo la biologia umana – sembrano sfuggire a ogni “controllo”, tanto collettivo quanto individuale.
Dopodiché, certo, non ogni speranza è perduta. Se solo riuscissimo a imboccare la prospettiva di una associazione democratica mondiale... Forse lo si potrebbe, perseguendo il principio per cui “il libero sviluppo di ciascuno è condizione del libero sviluppo di tutti”. Ma questo, si sa, è ancora Carlo Marx… Dixi et salvavi animam meam (Attali).
Insomma, per definire una Politica è consigliabile non partire dalla leadership, che serve a poco se è vero che poi si consuma velocemente, in assenza di cultura e programmi.
Quindi la via delle conferenze, dei dibatti, delle analisi e del confronto delle idee – per quanto sostanzialmente impervia e apparentemente ingenua – resta la via giusta.
Il nucleo di una possibile riflessione programmatica di merito s'impernia, a nostro giudizio e non da oggi, nello sforzo di pensare il combinato disposto tra un servizio civile universale e l'introduzione, grazie anche a strumenti finanziari innovativi, di un salario di cittadinanza.
Buona notizia. In quest'ambito è stato compiuto un passo avanti. Il Governo ha licenziato un decreto legislativo contenente interessanti elementi di novità. L'Italia ha voluto «rafforzare il servizio civile quale strumento di difesa non armata della Patria ai sensi degli artt. 11 e 52 della Costituzione, di educazione alla pace tra i popoli e di promozione dei valori fondativi della Repubblica», si legge nel comunicato ufficiale.
Parrà estemporaneo, ma qui il plauso è doveroso. Un plauso che va ai governi Renzi e Gentiloni, nonché ai ministri Bobba e Poletti. Si tratta di un provvedimento molto rilevante, perché il carattere universale del Servizio allo Stato riporta alla luce della dimensione pubblica il concetto di dovere di cittadinanza, al quale è possibile collegare il diritto a un salario di cittadinanza, tema di cui finalmente s'incomincia a discutere in modo concreto, fuoriuscendo dalla glaciazione del pensiero unico neo-liberista. E qui il merito va al Movimento Cinque Stelle, che prima o poi dovrà scegliere, tuttavia, se stare con la Lega o con il Centro-sinistra.
Se il punto archimedeo per una riemersione della Politica sta e cade con le prospettive di una pacifica mobilitazione generale della società, e cioè con la capacità di aggredire collettivamente le vere questioni sul tappeto, allora ogni seria riflessione politico-programmatica dovrebbe prendere le mosse da questo “strumento degli strumenti” che è il servizio civile universale.
Ma poi l'elaborazione di un necessario collegamento tra servizio civile e salario di cittadinanza rappresenterà solo un aspetto della questione. Occorrerà pensare altresì la democrazia nel servizio civile, intendendo questo come luogo ospitale verso forme di partecipazione e gestione diretta.
Anche l'apertura ai cittadini UE come pure l'apertura agli immigrati, due ragguardevoli misure previste dalle nuove norme, possono preludere a importanti sviluppi, sia nel senso della gestazione di un Servizio civile europeo (causa, questa, per la quale l'Italia deve battersi con energia a Bruxelles), sia in direzione di un Servizio civile migranti, nel quale e grazie al quale promuovere un'accoglienza dignitosa e universale dei profughi, ma, contemporaneamente, orientata al rafforzamento delle strategie di sostegno allo sviluppo.
Andrea Ermano
(da L'avvenire dei lavoratori, 2 marzo 2017)