Geometria della Rosa (Aletti, 2017) di Giuseppina Rando è una densa meditazione in versi dove ogni poesia si sgrana una dopo l’altra accerchiando il lettore, imponendogli il ritmo serrato di una visione (anche onirica) che attinge le proprie radici nelle terre più profonde e impervie della metafisica e dell’ontologia. Tuttavia ciò non appesantisce la lettura per quanto il lettore venga spostato (spesso anche bruscamente) dentro – molto dentro – alle ragioni enigmatiche, il più delle volte pure contraddittorie e spesso incomprensibili, della Vita.
Con questa magmatica (meta-)realtà Giuseppina qui fa i conti, ma li fa come osservatrice e non come giudice poiché, anche quando esprime giudizi, mantiene consapevolezza che la sostanza della vita ha regole proprie che di per sé non la rendono ingiusta, piuttosto semplicemente ingiudicabile. Il suo, semmai, potrebbe essere il punto di vista di Giobbe, che a conti fatti è ciò che distingue la sua concezione dell'Essere dalle posizioni molto spesso estreme di Flavio Ermini, e penso soprattutto ai suoi saggi più recenti ai quali lei ha puntualmente dedicato riflessioni approfondite.
Protagonista assoluto del libro è il dolore. Tema prezioso, e assai complesso se non trattato con l’appropriata delicatezza, senza quei pietismi ma con quella pietas che sola può aiutarci non tanto a comprenderne la natura quanto a sopportarne il peso che, già di per sé, poggia su una forma di conoscenza. Cosa che Giuseppina sa fare, appoggiandosi a versi davvero ben calibrati, “sonori”, come a buona ragione li ha definiti Piera Isgrò nella bella prefazione.
Angelo Andreotti